La criminalità trova spazio nell'assenza di cultura e nella povertà
Le riflessioni di Alberto Laise nel cuore della recrudescenza criminale nella Sibaritide: Serve una condivisione tra terzo settore, amministrazione e Stato affinchè si intervenga e si diano risposte che, altrimenti, daranno altri
L'escalation criminosa che nelle ultime settimane ha attraversato la nostra città deve destare preoccupazione ed indignazione in tutta la cittadinanza.
Nell'esprimere la massima solidarietà e vicinanza al Presidente del Consiglio Marinella Grillo ed a tutte le vittime degli atti criminosi da parte di DEMS, non possiamo che condividere le riflessioni del sindaco Flavio Stasi sulla necessità che lo Stato, in tutte le sue declinazioni, doti la nostra città delle risorse necessarie alla messa in sicurezza dell'intero territorio.
Accanto a questa rivendicazione però occorre anche trovare delle risposte e degli strumenti che agiscano anche in via preventiva rispetto al problema. Risposte che devono nascere dall'azione congiunta della politica, delle forze sindacali, dell'associazionismo, del mondo della scuola e della cultura.
Dobbiamo ragionare sulla formazione dei più giovani anche in termini di “cittadino sociale”, creando una coscienza ed una consapevolezza del proprio ruolo nella società. Di pari passo però occorre anche prendere atto che esiste un problema che corre parallelo alla recrudescenza criminale e vandalica che risiede nell'emergenza sociale creata dalle nuove povertà e dalla profonda crisi economica che attanaglia parti importanti della nostra città.
È innegabile che la criminalità organizzata riesca a trovare “bassa manovalanza” proprio perchè offre un sostentamento economico a chi non ha mezzi ed è altrettanto innegabile che se vengono meno i sistemi previsti dallo Stato a garanzia di un reddito minimo, soprattutto per chi ha precedenti penali e è impossibilitato a trovare lavoro, questa base di “reclutamento” aumenta a dismisura. Ed è anche un problema che si ricollega al fatto che, nella nostra città, sono sempre di più i casi di criminalità legata allo spaccio che coinvolge giovanissimi. Anche in questo caso, accanto ad una debolezza culturale e sociale, insiste anche una situazione di indigenza con cui è difficile fare i conti.
Sta alla politica ed alle istituzioni utilizzare gli strumenti più idonei all'inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati attraverso gli strumenti legislativi previsti. Si pensi ai progetti di inserimento lavorativo finanziati dallo Stato per gli ex detenuti, alle borse lavoro, a progetti sociali per le famiglie disagiate e per i soggetti deboli, i posti garantiti nelle ditte che vincono gli appalti pubblici. Serve una condivisione tra terzo settore, amministrazione e Stato affinchè si intervenga e si diano risposte che, altrimenti, daranno altri.
E non si tratta di favorire il criminale ovvero di cedere ad un ricatto ma, semplicemente, di utilizzare risorse specifiche, non destinabili ad altro, e provare, per una volta, ad intervenire sul più grande fallimento del sistema penale italiano: la recidività del detenuto. Costruire percorsi che vedano da un lato il recupero sociale e morale dell'ex detenuto, dall'altro un intervento verso i “bacini di utenza” potenziale in cui pescano le grandi organizzazioni criminali.
Esempi virtuosi in questo senso si trovano in alcuni quartieri di Napoli e di Bari e, in forma più organizzata, nei Paesi del Nord Europa – Olanda, Norvegia e Danimarca soprattutto – dove la percentuale di recidiva (detenuti che rientrano in carcere nel giro di un anno) è bassissima. Quindi certezza della pena e potenziamento delle forze dell'ordine da un lato ma, soprattutto, un'opera capillare di prevenzione e di ricostruzione sociale.