In principio era il potere
Una breve disamina (volutamente vaga e indefinita) su una ferita antica, mai rimarginata e ancora sanguinante che attraversa la società contemporanea
In principio era il potere. - Tutti i corpi umani chiedono protezione, alcuni chiedono anche salvezza. Esistono manifestazioni di potere capaci di generare situazioni-limite (o eventi esiziali) che necessitano di una riflessione più ampia, che parta da lontano e che si muova su altri piani, che prosegua per analogie e che smascheri le differenze, che parli al singolo e all’intera comunità.
I corpi si muovono, agiscono nello spazio e assumono un ruolo determinante soprattutto quando nella politica diventa centrale il corpo di coloro che hanno potere e di coloro che subiscono il potere, alterando gli equilibri sociali e mettendo in crisi la distinzione tra pubblico e privato.
“Potere” – spiega la filosofa Hannah Arendt in Sulla violenza - corrisponde alla capacità umana non solo di agire ma di agire di concerto. Il potere non è mai proprietà di un individuo; appartiene a un gruppo e continua a esistere soltanto finché il gruppo rimane unito. Quando diciamo di qualcuno che è “al potere”, in effetti ci riferiamo al fatto che è stato messo al potere da un certo numero di persone per agire in loro nome. Nel momento in cui il gruppo, dal quale il potere ha avuto la sua origine iniziale (“potestas in populo”, senza un popolo o un gruppo non c’è potere), scompare, anche il “suo potere” svanisce.
Da qui l’urgenza di richiamare il gruppo, nel suo insieme, ad una presa di coscienza: il suo ruolo risulta determinante nel processo di acquisizione e destituzione del potere stesso. Il singolo non può dirsi estraneo se è parte di quel sistema: anche se non ne condivide i presupposti è chiamato a risponderne poiché in quei meccanismi si muove e di quel potere gode.
Politicamente parlando, il punto è che la perdita di potere diventa una tentazione di sostituire la violenza al potere e che la violenza stessa sfocia nell’impotenza. Laddove la violenza non è più sostenuta e controllata dal potere, significa che ha avuto luogo il famoso rovesciamento nell’individuazione dei mezzi e dei fini. I mezzi, i mezzi di distruzione, ora determinano il fine, con il risultato che il fine sarà la distruzione di tutto il potere. […] Il terrore non è la stessa cosa che la violenza; è piuttosto la forma di governo che viene in essere quando la violenza, avendo distrutto tutto il potere, non abdica, ma al contrario rimane in una posizione di controllo assoluto. […] Riassumendo: politicamente parlando è insufficiente dire che il potere e la violenza non sono la stessa cosa. Il potere e la violenza sono opposti; dove l’una governa in modo assoluto, l’altro è assente. La violenza compare dove il potere è scosso, ma lasciata a se stessa finisce per far scomparire il potere. (Arendt)
A cosa somiglia questa dinamica di potere connessa all’esercizio della forza, della violenza? Somiglia alla sopraffazione, di uno stato degenerato su un cittadino oppresso, di un popolo su un altro popolo, di un uomo su una donna. E si manifesta proprio nel momento in cui viene meno il consenso. Un “no” al potere che diventa il preludio di una lotta. Qualcuno ha detto che difronte ad un’ingiustizia non si può rimanere neutrali, o la si appoggia o la si combatte. Vero, ma con quali armi?
In principio era il potere, dicevamo, ma in principio era anche e soprattutto il verbo, il logos, la parola. Uno strumento insidioso, tanto potente quanto fragile. Dio - infatti - disse luce, e luce fu (Genesi 1:3). Bastò la parola perché il mondo divenisse. La parola crea, genera, plasma. Generazioni di silenzi hanno trovato, nei secoli, la loro motivazione: la parola è il pericolo del potere.
Di parole, forse, ne sono state scritte tante e queste, nonostante vogliano prendere le distanze dalla retorica di queste settimane, finiscono per unirsi al fiume di cose dette, denunciate, gridate perché infondo, la parola, è l'unica arma che ci resta per lottare contro l’esaltazione della forza come valore, per combattere un sistema pervasivo e prepotente: il patriarcato.