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C’era una volta e adesso non c’è più: i campanilismi ci hanno già distrutto una volta

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Ricordo quei sabato mattina di poco più di 20 anni fa quando, affacciandomi dal balcone di Radio Rossano Centro, al sesto piano di via Rossini a Rossano scalo, dove il mio amico Luca Latella insieme al deejay Gianluca Virelli “irradiavano” quel gran varietà radiofonico che fu “Pip’e Patate Show”, vedevo sotto di me una città che pullulava. Loro facevano quel gran pezzo di intrattenimento che incollava tutti alla frequenza 91.3; io invece mi godevo quel po-po di panorama di vita. C’erano negozi aperti di ogni genere, e non solo bar a ripetizione; all’Esso una fila di motorini e di ragazzini che facevano miscela per poi si “tirarsi” la marmitta rigirata della Giannelli montata sotto al loro cinquantino truccato; c’erano gruppi di ragazze che si facevano inseguire da mandrie di giovani nel pieno della loro pubertà ma quando si incontravano i maschietti non potevano che piegare la testa davanti alla sicurezza disarmante ostentata dalle donne; c’erano ancora i ragazzi della Rossanese calcio che in gruppo e vestiti di tutto punto dei colori sociali passeggiavano per il corso principale mentre la “quinta colonna” dei tifosi anziani li osservavano dall’angolo di via Cesare Battisti; c’era tutto in quel mondo che cresceva e che sembrava destinato ad un futuro glorioso. Eravamo orgogliosi della nostra città. Ma nessuno pensava che il declino sarebbe iniziato di lì a poco.

Oggi passeggio, di rado, su via Nazionale a Rossano. E c’è un motivo. La radio non c’è più. E insieme alla radio non ci sono più un sacco di cose. Sulle vetrine di tantissimi di quei negozi, che prima erano una babele, ci sono i cartelli vendesi/affittasi ma soprattutto per quelle vie non c’è più vita. Ci sono solo ricordi, nostalgia e amarezza. La stessa che mi sale ogni qual volta devo dire e spiegare a mia figlia che al posto di un locale vuoto e desolato prima c’era una pescheria, e poi una sala giochi o un bellissimo negozio che vendeva i celebri Levi’s 501; che prima c’era una merceria, c’era una catena importante di negozi di scarpe e una paninoteca come la “Bruschetta” che fece la storia. Parlo con amici di Corigliano e mi raccontano la stessa cosa. Dicono, “C’era una volta”. Ma in una città che guarda al futuro non si può mai dire “c’era una volta”. Perché è un fallimento.

Quella che fu la storia degli anni ’90 per Corigliano e Rossano doveva avere per forza un futuro gigantesco. Se solo una classe politica e dirigente, senza la minima concezione del futuro, non avesse bloccato i processi produttivi e sociali di questo territorio in nome di una concezione prettamente feudale che si è avuta e si ha di quest’area della Calabria. Perché, ad esempio, chiudere prepotentemente la porta in faccia ad una riconversione della centrale Enel sostenendo con scialba e ingiustificabile “tigna” che la vocazione di Rossano, Corigliano e della Sibaritide erano l’agricoltura e il turismo senza una logica di visione, è stato uno dei più gravi e ingiustificabili errori commessi dalle amministrazioni locali. Ancor più in virtù del fatto che non è stato dato seguito alcuno alla valorizzazione né dell’economia agricola tantomeno di quella turistica.

Lo scrivevo qualche giorno fa: siamo un bellissimo ibrido, con tante potenzialità ma non abbiamo messo a frutto nulla.

E vogliano parlare del Porto e di quella che era la più grande, imponente ed importante marineria peschereccia del Mediterraneo? Se si pensa che i nostri pescatori sono riusciti ad avere la luce (non l’oro, la luce!) all’interno delle banchine solo un anno fa o che per fare manutenzione ai loro natanti devono addirittura sbarcare a Giulianova, nell’Adriatico, viene da chiedersi cosa abbia fatto per oltre 20 anni la classe dirigente e politica di questo territorio. Verrebbe da gridare vergogna. Poi, però, pensi che probabilmente il più grande dei mali che potesse capitarci non sono stati solo i politici ma il nostro meschino e inutile campanilismo che non si limita alle comunità (di Corigliano e di Rossano nel caso specifico) ma persino alle contrade fino ad arrivare ai quartieri. Ognuno è arroccato nel suo palazzo. Perché?

Il primo vero e strategico errore fu dire no alla grande provincia di Sibari, solo perché Corigliano da una parte e Rossano dall’altra rivendicavano il capoluogo. Pensate che genialata! E da allora c’è stato il declino totale dell’una e dell’altra comunità. Fino alla fusione. Ecco che quando si dice sia stata la più grande rivoluzione culturale fatta da questo territorio nell’ultimo secolo, il motivo è insito in tutto quello che c’era prima e che ora non c’è più. È stata una risposta forte per cancellare quel “c’era una volta” e costruire in addizione una nuova città. Oggi qualcuno, affetto da miopia cronica, vuole commettere lo stesso errore fatto dalla politica e dalla nostra società all’inizio degli anni 2000 quando passò l’ultimo treno per la realizzazione della provincia.  A pensarci bene, oggi tra quelli che muovono le fila dietro la malsana idea di de-fusione e di ritorno all’autonomia ci sono gli stessi interpreti e artefici, sia sul lato Rossano che sul lato Corigliano, che in quegli anni fecero ferro e fuoco affinché quella provincia non vedesse mai la luce. E oggi vorrebbero toglierci anche quel minimo di speranza che ci resta per rimanere aggrappati al resto del Paese e dell’Europa.

Che si parlasse con i giovani, con le nuove generazioni, con i “cittadini del domani”, che si coinvolgessero le scuole – se si ha coraggio di farlo – in un ragionamento campanilistico e autonomista. Ecco perché il confronto, che ancora oggi manca, sarebbe l’occasione per aprire un contraddittorio democratico. A partire dal rendere pubblico il testo della proposta referendaria di abrogazione della legge regionale sulla fusione. Non lo si vuole. Per l’ovvia ragione che il no a Corigliano-Rossano è solo un preconcetto che si tenta di far passare tra la gente di questa grande città fomentando il malcontento diffuso verso la gestione amministrativa del Comune. Stasi, però, non è la fusione e la fusione non è il modello di governo che una maggioranza democraticamente eletta decide di impostare per la città.

Non si commetta l’errore, quindi, di confondere il grano con la pula.  

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.