«Ora diamo gambe e concretezza alle suggestioni che ci ha trasmesso il Patire»
Il corsivo di Patrizia Nardi. Emozioni, sensazioni e prosepttive al termine della due giorni di studio "Patir - Identità, Patrimonio, Visioni" tenutasi nel complesso monastico del Patire
C’è un luogo in Calabria, nella Sila Greca, dove dopo più di mille anni il tempo e il silenzio continuano ad insegnare il valore dell’incontro tra culture, tra mondi diversi, tra persone diverse e uguali nella stessa determinazione a fare e camminare insieme.
È la montagna sacra di Rossano-Corigliano, “rossastra muraglia di roccia”, dove sorge quello che fu che fu il più ricco e rinomato cenobio-chiesa italo-greco dell’Italia meridionale, il complesso abbaziale basiliano di Santa Maria del Patir, per raggiungere il quale si passa gradatamente dalla zona dei frutteti e degli orti a livello del mare a quella delle vigne e dell’ulivo, salendo fino alla zona del castagno e oltre, tra siepi di corbezzoli e macchia mediterranea: fino in cima, dove ci si immerge in boschi di aceri, faggi e abeti e dove si incontrano i Giganti della Sila di Cozzo del Pesco.
È qui che la cultura greco-bizantina e la cultura latina si sono fuse armoniosamente. Qui troviamo i segni di una sensibilità bizantina, normanna ed araba condivisa, la testimonianza della propensione alla filoxenìa dei calabresi, all’accoglienza, all’ospitalità, alla convivenza, al rispetto della diversità.
È qui che i monaci basiliani, eremiti e asceti, imprimono la traccia di quello che sarebbe stato il processo di cambiamento della Calabria nel buio del Medioevo, nella sfera religiosa così come dal punto di vista economico e sociale. Calabria in controtendenza.
Ed è sulla sommità di questo monte che si incontrano le comunità dei due versanti opposti, quella di Rossano e quella di Corigliano, le quali trovano in questo luogo una loro sintesi all’interno di un sito di rilevante importanza culturale per la storia della civiltà mediterranea e dell’umanità, attorno ad un rito legato alle celebrazioni di maggio in onore della Madonna del Patire. Storie che si intrecciano, patrimoni che si parlano, storie che devono essere raccontate, conosciute, valorizzate, promosse.
In questo luogo ci siamo incontrati in tanti, nei giorni scorsi, in una due giorni straordinariamente ricca e piana di contenuti organizzata dall’associazione Rossano Purpurea in collaborazione con il Raggruppamento Carabinieri Biodiversità, che lo custodiscono.
Un confronto serrato ed intenso nato da un’iniziativa bottom up dell’associazione, legato ad un significativo lavoro di approfondimento di Alessandra Mazzei Donatella Novellis e Mariella Arcuri che hanno ben chiari i principi e il significato di partecipazione comunitaria e di comunità d’eredità.
Un’agorà significativa, un “tavolo circolare” di quelli che prediligo, che anche Hugues de Varine apprezzerebbe molto: comunità, soggetti istituzionali, Ministero sul territorio,università, esperti, decisori politici, operatori ed impresari della cultura insieme allo stesso “tavolo circolare”, con una consapevolezza fuori dal comune e la determinazione ad andare oltre le “giornate di studio” e le parole “potenzialità” e “resilienza”, sulla base di un approccio multidisciplinare e gli apporti, preziosissimi, di tutti.
Abbiamo anche trattato il tema, complesso e spesso sfuggente, dei percorsi UNESCO, continuando il lavoro cominciato qualche settimana prima nel Salone degli Stemmi del Palazzo Curiale di Rossano insieme al prof. Francisco Javier Lopez Morales - esperto di fama internazionale e mio prezioso Maestro - e abbiamo condiviso l’idea dell’importanza dell’insegnamento che ne deriva: percorsi UNESCO come obiettivi eventualmente finali di processi di consapevolezza, conoscenza, tutela, conservazione, valorizzazione, promozione e trasmissione alle giovani generazioni e come modelli e strumenti nei processi di sviluppo strategico dei territori, non solo di quelli che già vantano siti ed elementi riconosciuti dall’agenzia onusiana.
Abbiamo espresso perplessità rispetto al fatto che la Calabria, ancora oggi, a 50 anni dalla Convenzione del ‘72, non abbia un “suo” riconoscimento di lista, al di là delle due aree di faggete vetuste nel contesto di candidature transnazionali. Una disattenzione immeritata per un patrimonio culturale, quello della Calabria, straordinariamente ricco, importante, stratificato, variegato. E, al di là dei titoli entusiastici e di buon auspicio di qualche giornale ( la materia Unesco vola, a volte, in punta di penna) ci siamo detti che da quel monte partiremo, seguendo le tracce del passato per dare gambe e concretezza alle buone idee e alle suggestioni di quel luogo che ci ricorda che c’è una Calabria grandiosa della quale in pochi parliamo, che non conosciamo, che abbiamo il dovere morale e politico di far riemergere da narrazioni a senso unico che non ci piacciono e che oscurano il vero spirito e la bellezza di questa regione, pur ancora lontana dall’Europa ma al centro della storia del Mediterraneo, che è storia di civiltà, soprattutto.
Ed è per questo che ci impegneremo a ripiantare, in quel luogo, la vigna dei monaci, che dava vino bianco e cristallino, come ci ha ricordato l’archeologo e studioso Francesco Cuteri.
La vigna di cui abbiamo probabilmente bisogno, quella attraverso la quale la Calabria possa rappresentare i valori più alti che l’hanno accompagnata nella sua complicata storia e che l’hanno sempre contraddistinta. Oltre gli stereotipi.