Uomini “comandanti” e donne “ancelle”: distopia o terrificante realtà?
Urge un cambiamento di paradigma culturale che promuova nuovi modelli maschili e veda nei giovani i principali changemaker per un mondo in cui il genere non determinerà più la grandezza dei sogni e la libertà personale
59 i femminicidi in Italia dall’inizio del 2021 ad oggi. 59 le donne vittime di una società brutale, maschilista e aggressiva dove gli uomini -alcuni, per carità!- sembrano sentirsi padroni di tutto, padroni del sesso femminile, della vita stessa delle donne “comandanti”, come gli uomini de “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood, dove in una realtà surreale una teocrazia totalitaria sottomette e annienta le donne contro ogni diritto umano. Stando alle agghiaccianti storie di cronaca, quella della Atwood potrebbe rivelarsi una realtà non troppo lontana.
Ma cosa porta questi uomini a sentirsi “comandanti”? Da dove nascono le disuguaglianze?
La “femminilità” non è un destino biologico, quanto piuttosto una costruzione culturale e sociale, scrive Simone de Beauvoir nel suo celebre saggio “Il secondo sesso”. Le donne NON sono sottomesse per natura, la loro subordinazione -ancora esistente, in misura maggiore o minore in base alle latitudini- è il risultato di una serie di condizionamenti dati dal contesto storico e culturale, nonché dalla loro abitudine ad adeguarvisi.
Le ragioni psicologiche della disuguaglianza vengono costruite, occultate, accettate e, in questo modo, si perpetuano e si rafforzano. Alla base delle diseguaglianze ci sono percezioni distorte profondamente radicate e stereotipi inconsci che si formano nei primi anni di vita.
Ecco perché la chiave di volta non può che essere un cambiamento di paradigma culturale che passa dalla promozione di nuovi modelli maschili.
Il concetto di mascolinità tossica, di cui ultimamente spesso si parla, fa riferimento non soltanto ai comportamenti di machismo violento, ma a tutto quell’insieme di comportamenti che portano i maschi a dover sopprimere le emozioni, a dover mascherare il disagio e la tristezza, a mantenere un’apparenza di “virilità”, a non comportarsi da deboli perché, si sa, boys will be boys. Quante volte abbiamo sentito pronunciare la frase “non piangere come una femminuccia”? Affermazioni come questa ci fanno capire quanto non si tratti affatto di un problema delle donne e per le donne, quanto piuttosto, come scrive Carola Carazzone, di una questione in cui indispensabile è la chiamata in causa e la partecipazione attiva del mondo maschile.
Michela Murgia, prendendo in prestito la metafora da Giulia Blasi, autrice di “Manuale per ragazze rivoluzionarie”, afferma che essere nati maschi in una società come la nostra è come essere il figlio di un boss mafioso. All’inizio sei piccolo, non capisci quello che succede, ma godi dei privilegi dati dalla condizione di nascita. Le tue mani sono pulite, non hai fatto ancora niente di male. Poi cresci, diventi consapevole di quello che ti accade intorno. E qui hai tre strade: “farti risucchiare e diventare un mafioso a tua volta; rimanere nell’ignavia e fare il ‘figlio del boss’ per sempre; o accettare che l’’attività familiare’ è ingiusta per molte persone e fare qualcosa per cambiarla”.
“Stai zitta!”, “Lascia stare, sono cose da maschi”, “Te la sei cercata”, “Certo anche lei però… se va in giro vestita così” sono solo alcune delle frasi che quotidianamente vengono rivolte alle donne. Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che sono solo parole… Certo! Le parole, però, hanno un grande peso, soprattutto quando sono la traduzione di pensieri radicati nel profondo. Le parole possono uccidere, ferire e -chissà- anche legittimare la violenza. Non è difficile pensare a come la nostra società marchi le donne vittime di abusi invece dei loro carnefici e condanni le ragazze per come si vestono, per gli orari in cui escono, per i posti che frequentano.
A questo punto, la strada da percorrere non può che partire dall’educazione, da un impegno ad offrire ai bambini prima e ai ragazzi poi, gli strumenti per disubbidire al paradigma culturale dominante, a non conformarsi, a rifiutare l’idea che ci sia un solo modo di essere uomini e di essere donne.
Arte e cultura con il loro soft power sono fondamentali per immaginare alternative al conformarsi alle norme sociali dominanti e mettere in discussione i condizionamenti acquisiti. Vanno in questa direzione modelli di mascolinità alternativa incarnati da influencer e uomini dello spettacolo vicini a noi giovani, quali Harry Styles, Sangiovanni, Fedez e molti altri…
Smontare i tasselli della struttura sociale secolare in cui ci troviamo chiama in causa principalmente noi giovani, changemaker per la realizzazione di un mondo in cui il genere non determinerà più la grandezza dei nostri sogni o le mete che possiamo raggiungere, volgendo un nuovo sguardo su una società più equa, in cui ciascuna di noi potrà dire: “Io sono libera”.
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