La “polpa”, un corto diverso e la sedicesima Città del Sud
Le riflessioni di Giuseppe Lavia, segretario generale dell'Ust Cisl di Cosenza, sull'evolversi della più grande fusione d'italia, quella di Corigliano-Rossano: una risorsa infinita ancora per nulla sfruttata
Qualche anno fa il territorio di Corigliano Rossano e della Sibaritide furono definiti “la polpa della Calabria”. La polpa è la parte carnosa e molle, succosa di un frutto. Un frutto da spremere, come è stato spremuto questo territorio da sempre.
La nascita di Corigliano-Rossano è probabilmente figlia di una reazione profonda a tutti coloro che hanno spremuto il territorio. Una reazione che ora sta perdendo vigore e forza, perché non c’è dubbio alcuno che il governo di un territorio sia compito non semplice, sempre; ancor di più in una fusione, fra egoismi di bottega, con una pandemia che colpito duramente anche questo territorio.
Credo siano utili alcune riflessioni sulla “narrazione”, sullo storytelling del Comune di Corigliano Rossano, sul suo “corto promozionale”, a quattro anni di distanza dal referendum per la fusione, mentre spirano venti di restaurazione, rispetto ad un progetto che come Sindacato abbiamo sempre sostenuto.
Credo siano utili alcuni dati di contesto. In una situazione di desertificazione demografica, Corigliano Rossano, e i due ex comuni, sono in controtendenza. Insieme ad altri sei comuni calabresi, tutti della provincia di Cosenza, che dal 1956 al 2019 hanno avuto una sensibile crescita demografica, raddoppiando complessivamente la loro popolazione.
La città ha un reddito medio di 12.576 euro, Trebisacce di 15.000, Cosenza di 20.000.
Il tasso di occupazione, in base ai dati Infodata del Sole 24 Ore, è in linea con la media nazionale, maggiore del valore medio calabrese.
A Corigliano Rossano risultato iscritti negli elenchi dei lavoratori agricoli 12.500 addetti. Un numero molto alto, che riflette ancora il fenomeno del falso lavoro in agricoltura, cui fa da contraltare un numero ridotto di giornate agricole pro capite.
Corigliano Rossano ha ad oggi circa 2.5000 percettori di reddito di cittadinanza.
C’è un problema di lavoro nero e grigio, di lavoro che manca, ma soprattutto un problema di lavoro povero che si lega ad un tessuto economico e produttivo troppo dipendente da un’agricoltura che si sta forzando di diventare più competitiva, ma che fa i conti con le difficoltà del comparto agricolo.
L’economia di una comunità e di un territorio che vuole costruire futuro passa dalla capacità di trasformare le opportunità in punti di forza. Le opportunità di Corigliano Rossano e di una area vasta della Sibaritide stanno in alcuni numeri: 35 km di litorale, Rimini e Riccione insieme si fermano a 27 km; 346 kmq di estensione, primo comune calabrese, 29° Comune italiano. Un territorio enorme, che pone problemi di gestione, insieme a tante opportunità.
Sul versante del turismo e della ricettività, Corigliano-Rossano è insieme a Cassano allo Ionio il primo comune calabrese per posti letto. I due comuni insieme valgono qualcosa come il 15% dei posti letto totali calabresi.
Il dato negativo è quello relativo all’indice di utilizzazione lorda, che misura il rapporto fra le presenze e il numero delle “giornate letto” potenziali. Per semplificare, il livello di occupazione dei posti letto è la metà di quello di Pizzo, lontano dai valori di Isola Capo Rizzuto.
Un potenziale inespresso, un’urgente necessità di destagionalizzare ed allungare il calendario delle presenze, anche con un’attenta programmazione di eventi.
Insieme ad un’altrettanto urgente necessità di promuovere il lavoro dignitoso in un comparto che vede ancora troppe aree “grigie”, troppe paghe da fame ed orari infiniti.
Sul versante dell’agricoltura, la ridotta superficie delle aziende agricole (sau) resta un limite, la polverizzazione della proprietà ostacola la modernizzazione e la diversificazione della varietà colturali per allungare il calendario. È evidente che, nel complesso, le importanti produzioni di agrumi e di olio risentono di una crisi dei consumi e della competizione internazionale.
È stato svolto un lavoro importante in questi anni, sulle nuove varietà culturali e sulla cooperazione produttiva, con organizzazioni dei produttori che sanno fare il loro lavoro. C’è un tessuto imprenditoriale importante, ma resta ancora tanto da fare per modernizzare il comparto. Ed è altrettanto evidente che il cibo per essere buono deve essere “giusto”. Deve rispettare i diritti dei lavoratori insieme al diritto alla remunerazione dell’attività d’impresa, schiacciata da una grande distribuzione organizzata che troppo spesso impone prezzi non sostenibili. E sappiamo che spesso il nostro cibo non è “giusto” né per i lavoratori né per le imprese.
C’è una vocazione agricola e turistica della città, ma servono un passo in avanti e pure uno di lato. Serve sostenere la nascita di “attività industriali”, per come le intende la Svimez, di trasformazione e di servizi avanzati, con particolare riferimento all’agro-alimentare e ai settori dell’innovazione tecnologica e delle start up innovative, dell’economia circolare e green.
In sostanza, da distretto agricolo di qualità la Sibaritide deve ambire a diventare anche distretto agro-industriale di qualità. Un passo avanti, ma anche uno di lato. Green economy ed economia circolare sono i pilastri del Piano Next Generation Eu. Un’opportunità sul versante dell’economia circolare, può essere offerta dall’eco-distretto, la cui realizzazione è prevista e finanziata, nell’area urbana di Rossano. Un eco-distretto, inteso come piattaforma avanzata e sostenibile di recupero e riciclo, che non prevede discarica di servizio ed utile a trasformare i rifiuti in risorsa. Registriamo ritardi e silenzi. Se ci sono criticità tecniche sul progetto si apportino le modifiche necessarie. Ma per un eco distretto occorre una raccolta differenziata spinta che non c’è ancora e che si attende, in una regione dove oltre la metà dei rifiuti prodotti va in quelle discariche che prendono fuoco, mentre in Italia va in discarica poco più del 20% dei rifiuti. Un progetto, quello dell’eco distretto, finanziato con oltre 20 milioni. Parlare di rifiuti zero e nel contempo dire “no” anche a piattaforme per il riciclo è una contraddizione insanabile.
E nelle opportunità c’è sicuramente il Porto. Un porto di seconda classe con due darsene ed una profondità dei fondali di 12 metri.
Per anni si è parlato, anche troppo, di uno sviluppo a portata di mano. Ma non è così: si tratta di una struttura importante per dimensioni che continua ad essere caratterizzata da un sottodimensionamento nell’utilizzo e da forti gap infrastrutturali e di servizi.
Dopo anni di buio si sono accessi i riflettori. Anche grazie al lavoro dell’A.C. che ha promosso il dialogo fra istituzioni-deputazione nazionale e regionale- autorità portuale-parti sociali. Perché il metodo serve al merito. Il nostro posto è dentro il sistema portuale calabrese, dentro l’autorità portuale di Gioia Tauro. L’autorità portuale ha avviato il rilancio di Gioia Tauro come hub, deve occuparsi ora degli altri porti, in primis del Porto di Corigliano-Rossano. Occorre realizzare gli interventi previsti nel piano operativo triennale dell’autorità portuale che ha in cassa 74 milioni, di cui 12 per il progetto del terminal crocieristico, arenatosi per troppo tempo fra burocrazia e Piani regolatori portuali mai adottati. Un terminal crocieristico, il cui progetto è in via di definizione finalmente, che potrebbe aiutare l’inserimento nel circuito crocieristico nazionale, che è toccato la città in passato soprattutto grazie alla intraprendenza di un operatore turistico.
Solo ora si stanno per concludere le procedure di incameramento dell’area portuale, indispensabili per l’alaggio e varo e la cantieristica di servizio, per il rilancio ulteriore della vocazione peschereccia.
Per rilanciare la funzione commerciale, si è sempre sostenuto che si doveva guardare al traffico ro-ro, valorizzando le potenzialità offerte dalla vocazione e dalle produzioni agricole dell’area.
Non è tempo di improvvisare. Occorre uno studio sulle possibilità concretamente esplorabili. Mentre altrove –Taranto – si lavora bene sulla logistica agro-alimentare, qui solo qualche tonnellata di rinfuso e di ferro vecchio. È chiaro che questo porto ha una vocazione peschereccia, per la presenza di una marineria fra le più importanti d’Italia, vittima di regolamenti con restrizioni che vanno allentate, lavorando su una valutazione sugli stock ittici.
Un passo di lato, fra suggestioni destinate forse a restare tali come la Zes, scomparsa nella pandemia, fra vecchi e nuovi commissari.
Una Zes calabrese che da Gioia Tauro arriva a Corigliano Rossano passando per Crotone, che avrebbe dovuto attrarre imprese, attraverso agevolazioni economiche e burocratiche. Nella perimetrazione dell’area Zes di Corigliano-Rossano ci sono 22 ha liberi lottizzati, fra zona industriale e retro porto. Ma dopo qualche personale entusiasmo, complice la pandemia c’è il buio.
Senza infrastrutture di servizio, di logistica, attrarre imprese è opera ardua, oggi più che mai in un contesto pandemico. Serve fare di questo territorio un nodo intermodale, ma perché ciò avvenga occorrono reti materiali e digitali.
Servono passi in avanti. Per l’area della centrale Enel di Rossano. Un’area baricentrica di 70 ettari, una centrale in disuso, una crisi industriale. Quello che non serve è un impianto per produrre qualche kilowatt di energia con il ciclo combinato. Per prendere tempo e magari qualche incentivo.
Dopo il fallimento di Futur E quello che non serve è che oltre al danno ci sia la beffa. Si apra una interlocuzione con tutti gli attori istituzionali. Aperta e trasparente. Altrove si riutilizzano siti a fini produttivi, coinvolgendo partner importanti. A Napoli su una area dismessa sorgerà il Polo dell’AGRI TECH. Se c’è un progetto lo si esponga. Un progetto solido, serio. Altrimenti via tutto. Quello che non serve è prendere tempo sul cronoprogramma delle demolizioni.
Si smantelli e si bonifichi se necessario. Subito e con un specifico CIS, un contratto istituzionale di investimento, si realizzi su quell’area un centro di servizi per la città ed il territorio. Si faccia di questa area il cuore pulsante della Sibaritide. Si allochino i servizi di area vasta. Accarezzando il sogno di far rinascere un tribunale soppresso dalle ciminiere in quelle strutture già pronte o quasi. E poi si guardi al futuro, ad innovazione e digitale. Alla banda larga, un nuovo diritto sociale, un bisogno da soddisfare.
Il tema dello smart working e del south working, del lavoro da remoto da Sud è un tema da approfondire. Corigliano Rossano potrebbe provare a fare qualcosa. Uno spazio pubblico per il coworking da infrastrutturare digitalmente.
Così come credo sia utile che questo territorio si doti di un ITS, un Istituto Tecnico Superiore per una formazione tecnica post diploma qualificata, per esempio nell’area delle Nuove Tecnologie per il Made in Italy.
Quello che serve ora è sbloccare gli investimenti stanziati per la città, con gare da bandire e cantieri da aprire. Dai 24 milioni per il Progetto “Ingegnerizzazione delle reti idriche urbane e lavori di manutenzione straordinaria funzionali alla riduzione delle perdite” che ha Sorical come soggetto attuatore, ai 4 milioni per gli interventi di caratterizzazione e bonifica dell'ex discarica in località Cotriche area urbana di Corigliano, ai 4 milioni FSC per la “Realizzazione Collegamento Stabile Agglomerato Schiavonea - Porto” con il CORAP come soggetto attuatore, al 1,8 milioni del PON Legalita’ per il recupero di Immobili pubblici per finalità di inclusione sociale. E soprattutto le importanti risorse per il progetto relativo al “Completamento e ottimizzazione dello schema depurativo dell’agglomerato di Rossano - Corigliano” - Delibera CIPE n. 60/2012”. E in ultimo i 45 milioni del Bando Pinqua, del programma ministeriale “Qualità dell’abitare” che ci auguriamo possano aiutare a risolvere storiche criticità di Schiavonea e di alcuni quartieri dei due centri storici, che devono diventare non solo scrigno delle identità, ma attrattori territoriali.
Servono, inoltre, scelte che guardino al futuro anche dal punto di visto delle infrastrutture. Con il tracciato della S.S.106 proposto da ANAS in questi mesi, che presenta troppe criticità da un punto di vista urbanistico e che soprattutto dimentica una visione di territorio. C’è un tracciato a monte già approvato, si finanzi perciò un primo stralcio dell’opera e del tracciato a monte. La nostra deputazione parlamentare, mai così numerosa, si metta di traverso fino a quando non si porterà a casa qualcosa di concreto. Piuttosto che fare le barricate per dire no a Draghi, le faccia per il territorio, per una delibera CIPE, per un incremento del fondo premiale per le fusioni.
Quello che non serve alla città è il rancore, la divisione, chi soffia sulla insoddisfazione per improbabili ritorni al passato.
Quello che serve è l’umiltà di chi deve capire che non è stato il primo uomo ad accendere il fuoco. Quello che serve alla città è l’intelligenza collettiva. Sono le energie e le competenze che questa città esprime ai diversi livelli. Quello che serve è un piano strategico per ripartire. Quello che serve è una politica che promuova questi processi, che acceleri nella cantierizzazione della spesa delle importanti risorse disponibili. Per dare nuova forza al progetto della fusione, anche attraverso una forte capacità progettuale necessaria ad intercettare le risorse del PNRR, da costruire rafforzando le competenze di una macchina comunale in affanno.
Quello che serve è forse una narrazione che vada oltre. Un “corto promozionale diverso”. Non da Muccino. Non solo da terza città della Calabria, ma da sedicesima città del Sud che deve provare ad essere anche altro.
Quello che serve sono un Piano Strategico per la Città ed un Patto fra forze sociali, produttive ed istituzioni. L’Amministrazione Comunale ha il compito di facilitare questi processi. I rappresentanti istituzionali regionali e nazionali hanno il compito di dare e pretendere un’attenzione particolare per questo straordinario progetto in cui due comunità hanno rinunciato ad un pezzo di identità per costruire futuro, per dare speranza, perché un pezzo di riscatto della Calabria passa anche dal futuro di questa città.
E se alcune volte ci si aggrappa ai simboli, questa città ha bisogno di un’opera simbolo, un lungomare unico, che per lotti funzionali, possa unire anche fisicamente i due comuni in un abbraccio. E PNRR e CIS in corso di programmazione possono rappresentare opportunità per realizzare quest’opera, chiedendo anche ad Enel di fare la sua parte.