Dalla Natura alla Società: quasi un'utopia
Il cammino nei boschi è un’esperienza mistica, un laboratorio di vicinanza, mescolanza, protezione e unità nella diversità. Un modello per reinventarsi comunità umane più altruistiche, improntate alla condivisione e al sostegno reciproco
Sarà capitato a chiunque fermarsi ad ammirare un paesaggio di natura boschiva, seguire l’andamento altalenante dei rilievi ammantati d’alberi, percorrere con lo sguardo la varietà dei toni colorati e degli spiazzi, godere di tanta bellezza così originale e selvaggia, così intensamente attrattiva.
Sarà capitato altresì a molti di fare escursioni nei boschi di alto fusto fino alle pinete dei mille e più metri di altezza, in ogni stagione ma soprattutto per sfuggire al caldo estivo e fare picnic all’ombra, inoltrarsi per sentieri o per dorsali nascoste alla ricerca di funghi e castagne in autunno o della neve d’inverno, subire la malìa ovattata del candido elemento che piega i rami, che assorbe i rumori e scoprire le orme e i segreti degli animali selvatici.
Andare per foreste, noi calabresi abbiamo la sorte di essere nati tra boschi e mare, e inoltrarci da soli o in piccole comitive, scoprire dall’interno la natura verde, cercare il respiro della terra, la rete di forze interconnesse che certamente dev’esserci tra le tante specie di piante, dalle erbe sconosciute ai colorati piccoli fiori, agli arbusti più radi e più folti, alle macchie nascoste tra radure rigate di ruscelli, ai tanti e diversi alberi di medio e alto fusto, capire la sottile corrente che passa nell’aria, invisibile a noi, ma viva in tanta mirabile diversità.
Visitare il bosco col suo verde dai chiaroscuri teneri o intensi, miscelato in sfumature cangianti al primo soffio di vento, con le innumerevoli foglie in dimensioni e spessore propri che dicono il nome delle varie specie, i rami frondosi e le chiome che s’incontrano, si toccano, si mescolano, fanno ombra e, segretamente, si stringono, si sovrappongono in un ordine che appartiene alla loro esistenza, al loro farsi ogni volta diverso, accogliente, prossimo.
Così risalendo i camminamenti o i tratturi in cerca della cima, vedremo la macchia sempreverde di corbezzoli, alaterni, viburni, rovi di more, lecci perdere quota in favore delle latifoglie come ontani, carpini, ornielli, dei cerri, delle roverelle e, magari, scovare la rara presenza della quercia di Dulechamp e poi l’immenso verde dei castagni fino alla foresta alta dei pini neri e degli abeti, ognuno con la sua imponenza, con la sua resistenza alle temperature medie o estreme, alle intemperie, con la propria risorsa di sfruttare terreni argillosi e poveri fino a quelli ricchi di humus, come il “cropiu” dei castagni, e sentire farsi l’aria più fine e fresca zigzagando nel colonnato delle conifere.
Andare per boschi abbassando il tono di voce che addita le novità, capirsi col segno delle braccia e delle mani, evitando rumori insoliti in modo da sorprendere anche gli scoiattoli o i picchi verdi o i colombacci o le ghiandaie che si lasciano accarezzare dagli sguardi, come le farfalle cavolaie, macaone, podalirio, le piccole sintomidi svolazzanti a mezz’aria lungo i sentieri e sperimentare come il cammino diventa quasi un’esperienza mistica perché tutto è straordinario, tutto pare dire, per chi guarda, che oltre alla suggestione dello spettacolo, c’è un ordine innato, originale, antico e nuovo necessario alla convivenza, all’aiuto reciproco tra specie diverse per usare al meglio gli elementi dell’atmosfera e fronteggiare le calamità naturali a cui essi sono abituati da sempre.
Se tanta misurata concatenazione di vegetali mantiene da secoli visitabile se non proprio esportabile il suo laboratorio evolutivo di vicinanza e mescolanza con le altre famiglie viventi di mammiferi, insetti e popolo sotterraneo di decompositori, in un osmotico scambio di protezione e utilizzo di fertile guano, verrebbe da chiedersi perché la famiglia umana che tanto ammira, usa e conserva, quando non impazzisce tagliando, incendiando, depredando, la più antica delle sue abitazioni, la grande dimora-foresta, appunto, non si appresta a copiare la variegata diversità della natura boschiva, imitandone l’ordinato evolversi delle specie ma soprattutto l’unità nella diversità, la destinazione nativa dei tipici frutti, mi veniva da dire dei propri talenti?
Perché i gruppi sociali elementari umani non imitano i vicendevoli scambi che notiamo nelle piante, cooperando nella crescita e favorendo varietà e prossimità senza preferenza o mutando destinazione?
Perché non imitare la naturale convivenza dei vegetali che rispondono ad una sorta di aseità, cioè che trova la giustificazione del proprio essere al mondo nella stessa sua essenza, con il di più delle caratteristiche doti umane come la libertà, l’intelligenza, la creatività, il pensiero reversibile, fino a tutte le forme e i progressi civili, artistici, scientifici, filosofici e immaginifici che non sto qui a elencare, col fine neanche troppo nascosto di reinventarsi comunità per statuto nelle prassi più altruistiche e rendere sostenibile ogni dotazione sociale con i più deboli e sfortunati, adottando la condivisone volontaria, samaritana, sicuramente ad un livello più elevato di quanto s’ammira nelle piante che usano la linfa e non il sangue per vivere?
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