Il seme della divulgazione culturale
In quest’epoca di barbarie dilagante bisogna più che mai svegliare le coscienze, dimostrare che esiste la Bellezza, far notare le omertà compiacenti, predicare e praticare l'umiltà. La leggerezza non svilisce l’arte e una cultura che non si rivolga a tutti è una cultura fallita
Walter Benjamin suggerisce di partire in ogni scritto o discorso con una citazione, che si offre come stella polare nella navigazione e porto sicuro nei momenti di difficoltà, perché -specie quando si ha davanti un pubblico attento o un lettore competente- l' amnesia ti paralizza, la penna si inceppa e divieni, come dice l'Alighieri, "un fante che bagna ancora il labbro alla mammella".
Fedele a questo aureo principio, parto con una citazione del mai dimenticato e sempre più rimpianto Giovanni Sapia: "La divulgazione culturale è come un seme... non sai dove e quando fiorirà un seme gettato al vento, ma fiorirà".
Questo vale anche per idee e valori che si portano avanti nei momenti in cui si vuole trasmettere qualcosa agli altri. L' importante è che le idee non rimangano chiuse dentro di noi , come fiori secchi schiacciati tra le pagine ingiallite di un libro.
Una brillante citazione può sollecitare la curiosità dei lettori e spingerli a impossessarsi dell'opera intera. Noi abbiamo piena contezza che le manifestazioni culturali, specie quelle con taglio divulgativo, non producono PIL, non sono una voce di bilancio, non hanno ricadute utilitaristiche, ma riescono a conciliare levitas e gravitas, e sono ancora più efficaci se si riesce ad inserire la curiositas, nell' assoluta convinzione che non si svilisce l'arte con la leggerezza e che una cultura che non si rivolge a tutti è una cultura fallita. Cuoco docet.
Siamo noi a dover offrire chiavi di lettura per tutti, siamo noi che dobbiamo far sedimentare gramscianamente la cultura in senso comune.
Bisogna proseguire nella battaglia per la popolarità dell'arte, del largo coinvolgimento, anche in questa nostra epoca di barbarie dilagante, in cui c'è la dittatura dell'istante, la damnatio memoriae e in cui l'unico dio superstite è il mercato; se i valori sono verticati nel nulla, bisogna più che mai svegliare le coscienze, dimostrare che esiste la Bellezza, far notare le omertà compiacenti, predicare e praticare l'umiltà, ricordando Socrate, Orazio, Ariosto, l' architetto Dedalo, Montale e il suo testamento.
Il taglio divulgativo, lontano dall' impostazione accademica ed aulica, dagli arabeschi narcotizzanti, da ogni forma di narcisismo e/o autoreferenzialità, impone a chi intende perseguire l'obiettivo con coerenza e responsabilità di non chiudersi nel proprio hortus conclusus o recinto libresco, ma di scendere sul terreno rugoso della storia e (qui trascrivo quanto custodito da almeno quindici anni nello scrigno della memoria, dopo la lettura di un articolo di un'insegnante / maestra) combattere l' irresponsabilità insidiosa, l'ipocrisia, l'indifferenza dell'uomo montaliano che cammina su un muro, che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia, e che non si pone domande.
È il taglio divulgativo che permette di entrare negli altri e far capire le tante e diverse battaglie da condurre, da quella contro l'ipse dixit a quella contro i mercanteggiamenti di basso profilo e la scadente pratica del do ut des, da quella contro gli imperativi di oggi (likes performances, ansiogena ricerca di perfezione) a quella contro i deliri di onnipotenza, onniscienza, infallibilità.
Se il futuro appare deserto e l'ospite inquietante si aggira nelle nostre case, allora solo la cultura può salvarci.
Non chiudiamo gli occhi, dando, poi, il pretesto a Dante di applicare l'inflessibile legge del contrappasso e non tappiamoci le orecchie, come ha dovuto fare Ulisse con i compagni in vista dell' ammaliante canto delle Sirene.