«Mai più sole bambine e donne che, come Saman, cercano di affermare la propria identità!»
La nuova sfida per le politiche di genere è riconoscere a chi vive in Italia uguali diritti e tutele. Di lotta alla violenza di genere e di diritti umani dobbiamo parlarne ogni giorno, specialmente con le nuove generazioni!
Ogni qualvolta che qualcuno prova ad accennare anche solo velatamente al fatto che la cultura islamica costituisca una mortificazione per le donne, c’è sempre qualcun’altro che qualifica il ragionamento come razzista .
Si adducono a sostengo della tesi razzista che il mondo è multiculturale, che lo scambio con modi di fare diversi dai nostri arricchisce, finendo con l’affermare banalmente che tutte le culture hanno qualcosa da insegnare .
Io credo, invece, che, quando si è in presenza di una cultura che non rispetta i diritti umani, che paragona la donna ad un oggetto non attribuendole il diritto di autodeterminarsi, occorra intervenire duramente e che chi commette in nome di questa cultura delitti debba essere punito con pene esemplari .
Sia esso un pakistano o un italiano . Ugualmente.
Così come ugualmente deve soggiacere alle nostre leggi chi abita la nostra nazione.
E la religione, supportata da una sballata interpretazione di testi arcaici, non può e non deve essere considerata un alibi; tantomeno un alibi culturale!
I diritti vanno nutriti, difesi con forza e promossi ogni giorno. Attraverso la testimonianza e l’impegno; ma l’impegno da solo non basta. Se ci si impegna a fare una cosa, è assolutamente indispensabile che l’impegno sia accompagnato dalla conoscenza del problema. E il problema della violenza di genere, che è il problema da combattere, è talmente strutturato nella nostra multirazziale società che va combattuto insegnando che i diritti sono gli stessi per maschi e femmine sin da piccolissimi.
Saman Abbas è l’ennesima vittima di femminicidio, protagonista suo malgrado, come tante, troppe, di una storia semplice: o subisci o ti ammazzo.
E le mani sono state, ovviamente, quelle di uno di famiglia.
E nonostante in tutte le campagne pubblicitarie si invitino le donne a trovare la forza di denunciare, in virtù di quel coraggio che è lo stesso grazie al quale ogni giorno molte donne denunciando si concedono una nuova vita, spezzando la catena di violenza, nel caso della diciottenne pakistana, assassinata perché si sentiva italiana ed accusata di aver disonorato la famiglia rifiutando un matrimonio combinato, il coraggio, che pur ella aveva avuto, non è bastato!
Il nostro Paese non è riuscita a salvarla.
Quel Paese al quale Saman aveva richiesto aiuto: ha 17 anni quando a ottobre denuncia i genitori. Grazie al Tribunale dei Minori viene ospitata lontano dalla casa familiare, ma a dicembre, diventata maggiorenne, non ha più tutela giuridica: non è cittadina italiana.
Tornata a casa il 15 aprile, pretende i documenti che sono l’unica strada per la libertà, ma la famiglia non cede, per questo Saman si rivolge con coraggio alle forze dell’ordine, che arrivano però solo il 5 maggio, quando ormai è stata giustiziata perché da donna non le è stato concesso di fare come voleva.
È chiaro che il problema della cittadinanza è diventato il nuovo problema di genere di cui lo Stato italiano deve farsi carico.
Il 2 giugno scorso, è stato presentato “La cittadinanza a 18 anni”, a cura di Black Lives Matter Roma e Rete G2 - Seconde Generazioni, che spiega esattamente come molti uomini, padri prima e mariti dopo, privano le donne straniere che sono in Italia di acquisire la cittadinanza perché i requisiti richiesti sono legati al reddito che è detenuto dai maschi: quegli stessi maschi che troppo spesso impongono violenza e prevaricazione, come nel caso di Saman.
La nuova sfida da cogliere nell’ambito delle politiche di genere è immaginare soluzioni efficaci per riconoscere a chi vive in Italia uguali diritti e tutele e di farlo soprattutto per le vittime di violenza o di matrimoni forzati, che continuano ad avvenire nel silenzio colpevole, a due passi da noi.
Di lotta alla violenza di genere e di diritti umani dobbiamo parlarne fino alla nausea. Dobbiamo farlo con le nuove generazioni, alle quali affidiamo il sogno di un mondo migliore .
Nessuno è esente da questa battaglia! Ci deve vedere coinvolti tutti: donne e uomini, cittadini e istituzioni, che, seppur in modi e circostanze differenti, hanno l’obbligo di creare le condizioni affinché tutte le bambine e le giovani donne come Saman che cercano di affermare la propria identità non si sentano sole, ma percepiscano la comprensione del mondo e la forza delle istituzioni.
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