In quattro fanno “mea culpa” sugli errori alle regionali. I “puristi” del movimento adesso non vogliono più la testa di Parentela. Il resto dei parlamentari osserva in silenzio. Ci si mangia le mani per non essere entrati a palazzo Campanella
Una cosa è certa: il Movimento 5 stelle non siede tra i banchi del consiglio regionale. Il resto è tutto materiale che potrebbe finire in un manuale di psicoanalisi. Tra sensi di colpa e ramoscelli d’ulivo in segno di pace i pentastellati rompono la routine della cronaca politica e danno fuoco alle polveri di una miccia che innesca una bomba che scoppia a effetto ritardato. Per alcuni è una pezza peggio del buco, per altri invece un big bang. Una genesi in attesa degli stati generali programmati per lo scorso marzo e solo momentaneamente rimandati a causa dell’emergenza coronavirus. Ci pensano Paolo Parentela, Giuseppe D’Ippolito, Francesco Sapia e Laura Granato che di buon mattino
con una lettera inaspettata fanno “mea culpa” e senza troppi giri di parole si scusano con i calabresi per non essere entrati in consiglio regionale. La regione gestisce l’emergenza, l’opposizione prova a fare il suo e i quattro per la prima volta capiscono concretamente l’occasione persa. Riescono ad andare oltre quando, nella lettera, puntano il dito contro gli individualismi del movimento. Sono diciassette i parlamentari eletti in Calabria, mai nessuna forza politica aveva avuto tanto consenso, ma alcune sono stelle che luccicano da sole, altre sono riunite in delle micro costellazioni. Tutte insieme brillano, più o meno bene, nel firmamento della politica.
IL PERDONO Dai parlamentari nessuna risposta. Ma di quella missiva ne hanno parlato tutti. C’è chi preferisce godersi la corsa conscio del fatto che un altro exploit come quello del 2018 sarà irripetibile. Ma c’è anche di chi osserva con interesse, come il “Meetup delle origini 4 ottobre 2009”. Proprio loro: i barricaderos che a due giorni della debacle elettorale chiedevano in modo formale la testa di Paolo Parentela (coordinatore delle elezioni regionali) adesso gli tendono la mano. Della lettera si dicono addirittura «entusiasti». Carta e penna allontanano i musoni. «Aver pubblicamente riconosciuto gli errori, un gesto non di poco conto e di grande prospettiva per il futuro» è scritto. Una mano tesa che potrebbe di fatto riaprire il dialogo tra i quattro e Nicola Morra. La regia del presidente della Commissione Parlamentare Antimafia sulle attività del “Meetup delle origini” è sempre stata mantenuta riservata ma furono proprio alcuni esponenti nel corso di un incontro con la stampa a dire che le idee espresse dal senatore cosentino circa la gestione delle regionali in Calabria erano quelle che «più ci rispecchiano» (
qui la notizia). I pentastellati “puri” tentano anche una chiamata all’entusiasmo perso nella strada che ha fatto del movimento un vero e proprio partito di governo. In una nota contestano le scelte del governo regionale sull’emergenza sanitaria, non menzionano quanto fatto dal governo e la chiosa finale sull’esistenza dell’opposizione non può che provocare un risolino ironico anche tra i più affezionati all’esperienza politica dei pentastellati. E anche dal forum ambientalista “Silvio Gioia” del Pollino arrivano parole d’incoraggiamento e richieste d’aiuto concreto (come la risoluzione dell’annoso problema ambientale generato dalla centrale del Mercure) per vedere se alle parole possono seguire fatti concreti e se possa ricucirsi definitivamente questo strappo.
QUEL PATTO PER LE REGIONALI Il giallo è tutt’altro che risolto. In molti sanno come siano andati i fatti ma nessuno è pronto a mettere sul tavolo le prove per dimostrare quando sia avvenuto definitivamente lo strappo tra il Movimento 5 stelle e Pippo Callipo. Non è un caso che anche il “re del tonno” si sia sentito più che sfiorato dalla diatriba in casa 5 stelle (
qui la sua dichiarazione). Callipo per settimane è stato il top player indiscusso del fanta mercato della politica per le elezioni regionali e solo due schieramenti tanto logori dal correntismo interno potevano non rendersi conto che la scelta di puntare su di un nome unico, anche in virtù dell’intesa di governo, poteva essere la soluzione migliore per disturbare i sonni tranquilli del centrodestra e allo stesso tempo spianare la strada per il grande ingresso a palazzo Campanella del Movimento 5 Stelle. Non è una lettura inedita, ma è dettata dai numeri (le poche migliaia di voti che non hanno permesso al M5s di raggiungere l’8% su cui a pesato lo scarso impegno in campagna elettorale proprio di diversi parlamentari) e da un divorzio senza clamore o rumore tra i pentastellati calabresi e il loro candidato Francesco Aiello ritornato alla vita da accademico e alla realizzazione di report, strettamente attuali, per tramite della sua piattaforma Open Calabria. Aiello adesso è fuori dall’orbita di tutti. Per alcuni è sempre stato così e se 17 parlamentari rappresentano un unicum (difficilmente ripetibile) in una regione, altrettanto irripetibile sarà che una forza politica e di governo in futuro non riuscirà a piazzare un proprio rappresentante all’interno del governo regionale. Quattro di loro se ne sono accorti, è un inizio.