di GIANLUCA COMIN* Quando si parla di fondi europei si sa, l’Italia compare sempre nelle retrovie. L’incapacità di sfruttare i finanziamenti dovrebbe far riflettere se consideriamo che siamo uno dei maggiori contribuenti nel bilancio dell’Unione europea. In teoria il nostro paese potrebbe essere anche uno dei suoi principali beneficiari, soprattutto al Sud, se solo riuscissimo a utilizzarli correttamente e non ci bloccassimo a causa di ritardi e inefficienze. La possibilità di dover rinunciare a una buona parte delle risorse programmate da Bruxelles e non spese è ormai sempre più concreta. La spesa certificata al 31 maggio 2015, infatti, raggiunge il 73,6% dei fondi relativi alla programmazione 2007-2013 (70,2% nell’area della Convergenza: Campania, Calabria, Puglia e Sicilia), 3 punti in meno rispetto al target nazionale. In pochi mesi, quindi, dovremo riuscire a spendere 12,3 miliardi di euro: una corsa contro il tempo necessaria per non incorrere nel disimpegno automatico. Quello che manca nel nostro paese è un’attenta programmazione, incapacità tipica delle istituzioni pubbliche che non riescono a progettare piani efficaci di lungo periodo. E quando il problema non è la programmazione, intervengono irregolarità e carenze nel sistema di gestione e di controllo, come ha dimostrato recentemente il caso della Puglia, in cui i pagamenti da Bruxelles sono appena stati riattivati dopo essere stati sospesi a giugno per anomalie nell’audit e negli appalti pubblici. Inoltre in Italia, e al Sud in particolare, il cofinanziamento pubblico-privato è visto ancora con estremo sospetto, un po’ perché alla fine chi ci rimette è sempre lo Stato, che deve coprire i buchi lasciati aperti da questa o quell’altra impresa, un po’ perché viviamo ancora troppe commistioni politiche che scadono nella corruzione. Tuttavia, sempre di più, per allocare e spendere in maniera ottimale i fondi della programmazione,
è fondamentale saper rappresentare i propri interessi presso le sedi preposte a livello europeo, attraverso azioni di lobbying dirette e indirette. E anche in questo caso l’Italia si dimostra troppo spesso non all’altezza. A Bruxelles le Regioni hanno sempre avuto una forte presenza di rappresentanza e promozione delle eccellenze locali, ma raramente sono state in grado di portare avanti gli interessi della propria regione di provenienza.
La parola lobby in Italia si sa, si porta dietro un significato negativo e fuorviante. In realtà la rappresentanza d’interessi è un’attività del tutto legittima che, facendo luce con chiarezza e trasparenza su posizioni o punti di vista differenti,
concorre al miglioramento della qualità della decisione pubblica che, svolta nel rispetto e nell’autonomia delle istituzioni, è parte integrante del tessuto connettivo di una democrazia evoluta. Sono 19 le regioni che hanno un ufficio di rappresentanza in Belgio.
L’ultima in ordine di tempo ad aver aperto i battenti a Bruxelles è la Calabria. A Bruxelles operano circa 2.600 gruppi di interesse, con una squadra di
oltre 15 mila lobbisti (di cui solo 5 mila registrati nel “Registro per la trasparenza” delle istituzioni UE). Lo stile di approccio in sede europea dev’essere calibrato sugli aspetti culturali e tecnici della commissione stessa. Il contatto diretto con i funzionari della Commissione e del parlamento è molto difficile, e bisogna lavorare attraverso più canali di comunicazione e di influenza. Un bravo lobbista, sia esso istituzionale o privato, che si muova tra le pieghe del regolamento europeo dev’essere pronto a giocare un partita nel lungo periodo, costruendo relazioni fondate sulla fiducia e sullo scambio di informazioni in un approccio costruttivo.
Una rappresentanza regionale che si è distinta negli anni è la Toscana, inserita nell’ufficio comune delle Regioni del Centro Italia (Abruzzo; Lazio; Marche; Toscana; Umbria). L’ufficio toscano è l’unico diretto da un dirigente superiore già dipendente dell’amministrazione regionale e che conta più di quindici anni di esperienza a Bruxelles nelle istituzioni comunitarie. Questa caratteristica rafforza l’azione dell’ufficio di rappresentanza a livello orizzontale con le altre strutture dell’amministrazione regionale e a livello verticale perché il manager conosce bene le pieghe e i meccanismi della macchina burocratica europea. Grazie ad un’iniziativa della regione Toscana, che ha coinvolto oltre 30 regioni in tutta Europa, è stata creata la “rete Ogm free”, per portare avanti le posizioni in favore dell’agricoltura tradizionale.
Fare alleanza e fronte comune è uno dei principi base per realizzare un’attività di lobbying efficace e di lungo raggio. Le regioni dovrebbero prendere esempio dalla Toscana, ma anche da altre regioni virtuose europee, e unirsi in alleanze strutturate per fare pressione e condurre azioni di advocacy di alto livello, senza limitarsi al contesto nazionale ma sfruttando appieno le possibilità offerte dall’interazione con 27 paesi a livello comunitario. La capacità di fare network e di rappresentare interessi diffusi è l’arma essenziale per valorizzare le eccellenze italiane in Europa e nel mondo, e per questo la lobby nel senso positivo e costruttivo del termine è uno strumento essenziale.
*Docente Strategie di Comunicazione, Luiss Guido Carli - Twitter @gcomin - Cominandpartners.com