Sibari riscrive la sua storia: sotto il teatro romano riaffiora la Sybaris arcaica
Gli ultimi scavi nel Parco del Cavallo riportano alla luce templi, strade e domus databili al VI secolo a.C. Dall’intervista del direttore Filippo Demma a Fanpage al monito di Pier Giovanni Guzzo: «Scavato solo un centesimo. La vera Sibari è ancora sotto tutta la pianura»
CORIGLIANO-ROSSANO - A Sibari la storia non è mai ferma. È stratificata, compressa, sovrapposta. E ogni volta che gli archeologi tornano a scavare nel Parco del Cavallo, ciò che emerge dal sottosuolo non fa che rafforzare una certezza: Sybaris (e i suoi derivati!) continua a raccontarsi attraverso le sue stesse rovine.
Lo confermano gli esiti dell’ultima campagna di scavo nell’area dell’emiciclo del teatro romano, al centro di una lunga e approfondita intervista rilasciata dal direttore dei Parchi archeologici di Sibari e Crotone, Filippo Demma, a Fanpage.it, in un articolo firmato dalla giornalista Claudia Procentese. Un’intervista che non si limita ad annunciare nuove scoperte, ma restituisce il senso profondo di un lavoro scientifico che, strato dopo strato, sta ricomponendo la storia complessa di Sybaris, Thurii e Copia: tutti racchiusi in un fazzoletto di terra di circa 5 ettari compresi tra il canale degli Stombi e l’argine del Crati.
Gli scavi, conclusi da poche settimane, hanno rivelato una stratigrafia inattesa e sorprendente. Alla base delle fondazioni del teatro romano sono emersi grandi blocchi integri, non rilavorati, appartenenti a fregi dorici e ionici, attribuibili ad almeno due edifici monumentali di età arcaica, forse templi, databili – come spiega Demma – intorno alla metà del VI secolo avanti Cristo. Edifici distrutti da un incendio e, secoli dopo, smontati e riutilizzati dai Romani come materiale da costruzione per il teatro.
Non solo. Al di sotto delle strutture romane è venuta alla luce anche una strada di età classica, uno stenopòs riconducibile alla fase urbana di Thurii, tagliato proprio per consentire l’impianto del teatro. Lungo questa via, gli archeologi hanno individuato un ambiente riferibile a una domus di età repubblicana, attiva nel II secolo a.C. e abbandonata alla fine del I secolo a.C., forse in seguito a un evento traumatico. Al suo interno, un deposito che ha colpito l’immaginazione: conchiglie, resti di frutti di mare e la lisca di un grosso pesce – probabilmente un tonno o una ricciola – ritrovata senza la testa, con le vertebre ancora in connessione. Un contesto che, come precisa Demma, non presenta tracce di consumo alimentare e che apre interrogativi ancora tutti da indagare. Che fosse una dispensa? O un mercato? O, perché no, anche i resti di una battuta di pesca (considerata la vicinanza del mare che all’epoca si presume fosse ancora più arretrato rispetto all’attuale linea di costa)?
Il racconto dello scavo si spinge fino alla vita quotidiana del cantiere romano: frammenti decorativi arcaici ridotti in schegge e utilizzati per creare il battuto su cui lavoravano gli operai, buche di palo per le impalcature, una piccola fornace, monete smarrite. Segni minimi, ma preziosi, che consentono di leggere non solo l’architettura, ma anche la dimensione sociale ed economica della costruzione del teatro.
Tutto questo – ed è il punto che Demma sottolinea con forza – ridà consistenza monumentale alla Sybaris arcaica, che per lungo tempo era attestata soprattutto da reperti mobili. Oggi, invece, sotto il Parco del Cavallo stanno tornando alla luce edifici sacri e strutture urbane databili al VI secolo a.C., nella storia di una città che fu fondata nell’VIII secolo avanti Cristo e fu tra le più potenti e ricche della Magna Grecia.
È anche per questo che il direttore non nasconde una certa insofferenza verso i ricorrenti tentativi di “ricollocare” Sybaris altrove. Il riferimento, con molto probabilità, è agli studi geologici sul paesaggio antico condotti da Nilo Domanico che ridisegnano la conformazione idrografica della Piana di Sibari all’epoca dell’arrivo degli Achei, e che - di riflesso – hanno posto alcuni interrogativi sulla collocazione geografica della colonia Magnogreca. Demma parla apertamente di campanilismi, di una smania tutta contemporanea di spostare le antiche città per ragioni identitarie o di prestigio locale, ignorando i dati stratigrafici, le evidenze pubblicate, decenni di ricerche scientifiche. Un concetto che trova eco anche nelle parole del sindaco di Cassano Jonio, Gianpaolo Iacobini, che ha salutato i nuovi ritrovamenti come l’ennesima conferma che «Sybaris è qui, a Sibari», e che il lavoro in corso rappresenta una svolta decisiva nella conoscenza e nella valorizzazione del patrimonio archeologico.
Ma la questione vera, che emerge con forza proprio alla luce di questi scavi, va oltre il dibattito localistico. Ed è qui che il discorso si allarga, necessariamente, alla dimensione territoriale della Sibaritide.
Proprio nella recensione al volume di Domanico nella prestigiosa rivista Atti e Memorie della Società Magna grecia (Serie V 2025), l’archeologo Pier Giovanni Guzzo mette nero su bianco un dato che dovrebbe orientare ogni riflessione futura: «[…] valutata intorno ai 500 ettari, l’area da ultimo indagata e riportata in luce nei cinque cantieri corrisponde solamente ad un centesimo. Così che è facile affermare che si ha, in pianura, ancora grande spazio per compiere studi, ricerche e scavi dai quali ci si può ragionevolmente attendere risultati di grande interesse». Un’affermazione che pesa come un macigno, perché chiarisce quanto esigua sia, in realtà, la porzione di città finora esplorata. E Guzzo sottolinea proprio che «si ha, in pianura, ancora grande spazio per compiere studi, ricerche e scavi», richiamando l’attenzione su una pianura di Sibari vastissima, dove continuano ad affiorare rilevanze archeologiche e antropiche di straordinaria importanza… oltre il Parco del Cavallo.
Non a caso, Guzzo conclude con un appello che oggi suona più attuale che mai: «un convinto, motivato e pressante appello alle autorità competenti affinché finanzino un’adeguata attività archeologica d’indagine», perché è necessario «saggiare e svelare la nascosta realtà».
Ecco allora il senso profondo dei ritrovamenti del Parco del Cavallo che saranno illustrati oggi (18 dicembre) alle 18, al parco Archeologico della Sibaritide, nei Giovedì del Direttore. Non solo templi arcaici, domus e pesci misteriosi, ma la dimostrazione concreta che Sibari ha ancora moltissimo da raccontare, ben oltre i cinque ettari oggi visibili. Perché la terra continua a restituire frammenti di una storia enorme e sta alla politica, alle istituzioni e alla comunità scientifica decidere se ascoltarla fino in fondo.