Festa della Pita, l'abete bianco è arrivato ad Alessandria del Carretto: può iniziare la festa patronale
Sul pollino si rinnova un rito lungo secoli: ieri il lungo albero, scelto la seconda domenica di aprile, è stato trascinato in paese. Il prossimo 3 maggio, in occasione di Sant'Alessandro Martire, le celebrazioni religiose e popolari
ALESSANDRIA DEL CARRETTO - Come molto spesso accade nella nostra terra, è proprio dalle alchemiche mescolanze tra sacro e profano che traggono origini le nostre tradizioni più belle e pregnanti. Una di queste è sicuramente la Festa della Pita o, in italiano, dell’abete. Essa è un’antica ricorrenza del paese di Alessandria del Carretto, risalente al ’600, che si svolge in varie fasi ed è direttamente legata alla celebrazione del 3 di maggio del suo santo patrono, Alessandro Papa Martire, a cui viene dato in dono un abete bianco.
La seconda domenica di Aprile, nelle montagne del Massiccio del Pollino del confine calabro-lucano, un abete (pitë nel vernacolo alessandrino), il più possibile diritto, viene scelto, abbattuto, diviso in due parti, il tronco e la cima, e infine ripulito. Successivamente, l’ultima domenica, sin dal mattino presto, l’albero viene preparato per essere trasportato a braccio fino al paese. Al tronco vengono attaccati dei bastoni (tire) con alcune corde particolari, fatte di rami attorcigliati, per poggiare spalle e mani per il traino.
Il trasporto è coordinato dal cosiddetto “vogatore”, il quale sta sul tronco, incita i tiratori e dà direttive affinché i movimenti siano sincronizzati, mentre tutto il tragitto è accompagnato da cibo, vino, canti tradizionali, balli e dal suono di organetti, ciaramelle, tamburelli e zampogne. Si giunge in paese la sera, tra i festeggiamenti, nella piazzetta S. Vincenzo.
Il mattino del 3 maggio la cima, addobbata con doni e prodotti tipici, viene unita al tronco, pulito già dal giorno precedente, e cominciano le operazioni per issare l’albero, che diventa un albero della cuccagna: chi scala e raggiunge la cima si appropria dei doni. Una volta tirata su la “pitë”, suona la campana che dà inizio alla messa, poi alla processione e, subito dopo, iniziano i tentativi di salita dell’abete, con il solo uso di braccia e gambe, per raccogliere i premi. A conclusione, la “pitë” viene buttata giù. La sua caduta è salutata con un applauso e tutti i presenti ne prelevano un rametto con le foglie come ricordo di S. Alessandro.
Ma è durante questo lungo tragitto che avviene di tutto. Gli animi si sciolgono, si liberano (anche grazie all’ottimo vino che scorre a fiumi) e sembra che tutti quelli che siano lì si conoscano da sempre, accomunati dalla fatica, dalla passione, dall’inebriante natura che ci avvolge, così come la musica incessante ma coinvolgente che da ritmo a forza a coloro che devono spingere il possente tronco giu’ fino al paese. Ci si ferma a chiaccherare, a conoscersi, a condividere pane ed emozioni, prosciutto e vibrazioni, vino e calore umano.
È il ritorno alle tradizioni antiche, ma in forma vera e passionale. Che danno il senso del vivere in comunità. Sia per chi in questo posto è nato (e ci ritorna piu’ in occasione di questa festa che non a Natale) e sia per chi va ad ammirare questo evento tradizionale ed arcaico che, al di là di tutto, ti infonde energia e passione. Quella che servirebbe a far risorgere la nostra amata Calabria.