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Storia e origini di Caloveto, le cui tracce riconducono all’età paleolitica

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CALOVETO - Centro collinare dell’entroterra presilano, nella Sila greca, territorio centro-orientale della provincia di Cosenza, le cui tracce riconducono all’età paleolitica, e alle cui spalle scorre il Torrente Laurenzana, prima di immettersi nel Trionto.

Collocato su un contrafforte in prossimità della costa ionica, sulle colline dorsali che fanno da spartiacque con la catena montuosa dell’altopiano silano, confinante con i Comuni di Calopezzati, Cropalati, Longobucco e Pietrapaola, il borgo, di appena 1237 abitanti, votato prevalentemente alla coltivazione dei campi, colmo di storia, dalle origini medievali, asimmetrico nella sua superficie  di 24,96 km² e nella conformazione urbanistica, inserito in un’affascinante contesto ambientale, posto a 3 85 m. sul livello del mare, è raggiungibile percorrendo la S.S. 106 fino a Mirto-Crosia immettendosi poi sulla S.S. 531 che dal mare sale in direzione Longobucco sino allo svincolo che salendo porta al Borgo.

Come per la maggior parte dei paesi della regione ugualmente per Caloveto l’identificazione precisa delle sue origini si presta a più ipotesi, anche se usualmente tanti ne additano la fondazione intorno al IX sec., dovuta allo stanziamento religioso (cenobio) di alcuni padri bizantini di rito greco giunti nel territorio, a seguito delle persecuzioni iconoclaste, attorno al quale poi si organizzò il primo centro urbano fatto di tuguri nel quale viveva una piccola collettività la cui economia si basava fondamentalmente sulle tradizionali attività agricole.

Tuttavia, prove di una presenza insediativa al periodo dei Brettii trovano conferma in base ad alcuni reperti presenti all’interno di una recinzione muraria rinvenuti sul territorio nel sito del Cerasello.

Sulla tesi che vuole la nascita di Caloveto, attorno al monastero dei monaci Calibiti, si sono pronunciati a favore studiosi e importanti storici, fra cui il Gradilone e il Rolfs, secondo i quali l’etimo del termine “Caloveto” scaturirebbe dalla parola “greca” “Kalubites”, il cui significato sarebbe “abitanti di capanne”, ma che nei secoli subì non poche variazioni sino a stabilizzarsi nella corrente terminologia. I suoi abitanti si chiamano Calovetesi. Come non mancano pure altre ipotesi, ma non   supportate e confermate, che ne indicano il toponimo come derivante dalla voce latina “Calvetum”, pensato come ‘luogo senza vegetazione’.

I segni dello stanziamento sono le molteplici grotte scavate nella roccia utilizzate come eremi, per la preghiera, la contemplazione e l’attuazione delle pratiche ascetiche e della dottrina religiosa. Insomma, un vero e proprio monastero dedicato a san Giovanni Calibyta, nel quale era venerato dai suoi seguaci e che oggi raccoglie la devozione religiosa come patrono del paese.

Il sito conventuale, in seguito, quasi alla fine del XIII sec. fu riportato dai Benedettini al rito latino, il cui monachesimo promosso da san Benedetto da Norcia, ebbe origini con la fondazione del monastero di Montecassino avvenuta intorno al 529.

Il cenobio di Caloveto, per quanti intesero dedicarsi  alla meditazione e alla preghiera, ha rappresentato nei secoli uno scalo indiscusso di spiritualità ed è ricordato anche perché accolse nel momento dei suoi studi, il rossanese Bartolomeo, il giovane, avendo questi mostrato enorme interesse per la vita conventuale, e dove il futuro santo di Rossano, seguace di san Nilo, affidato alle cure dei seguaci di san Giovanni Calibyta, ebbe modo di migliorare la sua preparazione, spirituale e culturale, con lo studio dei testi sacri.

Il monastero conobbe il suo migliore sviluppo durante la dominazione normanna, in seguito il borgo transitò nei possedimenti di numerosi e diversi feudatari.

A riguardo, prima di avviarmi alla conclusione, vorrei ricordare quanto scriveva lo scrittore del luogo mons. Giuseppe Caliò nelle poche e bellissime pagine dal titolo “Nel paese del Santo”.

Conclusasi la grande civiltà bizantina “Il paese incominciò a passare di dominio in dominio come una merce”. Lo stesso Caliò, inoltre, riporta che secondo padre Giovanni da Fiore e altri storici calabresi, Caloveto nel 1352 passò dal dominio di Carlo Bucciarelli da Taranto a quello dei Sangineto.

Nobile e antica famiglia Meridionale quella dei Sangineto, discendente dal noto casato dei Sanseverino, il cui nome ebbe origine propriamente dall’omonimo feudo di Sangineto comune della provincia di Cosenza e i cui possedimenti si estendevano anche a Cassano, Satriano, Altomonte Corigliano, solo per citarne alcuni, con la quale prese il via la prima infeudazione. In seguito Ca­loveto entrò nei domini dei Santangelo, dei Ruffo di Montalto, dei Guindazzo, dei Cavaniglia, sino a quando, agli inizi del XVI secolo passò ai d'Ara­gona duchi di Montalto che la dominarono fino al 1593, anno in cui passò definitivamente a far parte del Ducato di Crosia il cui feudatario era la nobile famiglia dei Mandatoriccio di Rossano, rimanendovi fino al 1696.

Alla morte del II Duca di Crosia, Francesco Mandatoriccio, morto il 1676, per successione passò ai Sambiase, Principi di Campana, avendo Giuseppe Ruggero sposato la 3ª duchessa di Crosia, Vittoria Mandatoriccio, sorella del duca Francesco, che ne detennero il possesso fino al 1806, anno in cui cessò il sistema feudale.

È nel periodo del governo dei Sambiase che Caloveto conta 782 ab. e la presenza sul suo territorio di due confraternite: quella del S.S. Sacramento e del Rosario. 

Con le nuove disposizioni dettate dai Francesi attraverso il nuovo ordinamento amministrativo, Caloveto finì a far parte del Governo di Cariati.

Inserito come Comune nel Circondario di Cropalati, nel 1928 ne diventò frazione per poi conquistare definitivamente la sua autonomia come Comune nel 1934, al quale sono state associate le frazioni di Dema, Liboia e Trionto.

Malgrado il paese non appaia tra i circuiti turistici più accreditati regala ai visitatori l’opportunità di apprezzare un patrimonio artistico di tutto rispetto considerata la presenza oltre che della Chiesa Madre intitolata a S. Anna, nella quale si possono ammirare pregiati oggetti sacri lavorati con gusto, cura e precisione, la Chiesa del Carmine, una Cappella intitolata a S. Antonio di Padova, alcuni palazzi, anche interessanti circa il profilo architettonico, fra i quali si vogliono menzionare Palazzo Pirrelli, De Mundo, Comite, Casa Caruso e Britti oltre che degustare la genuinità dei prodotti del luogo e usufruire di un ambiente salubre e naturale.

Non pochi, inoltre, sono i raduni tradizionali, che si trasformano in tipiche feste popolari come le celebrazioni in onore della Madonna del Carmine, del santo Patrono, e la fiera del bestiame che si tiene ogni anno nel mese di maggio.

 

BIBLIOGRAFIA

 

Franco Emilio CARLINO, Itinerari storici, artistici ed archeologici di Rossano e Circondario; Consenso Iure Loquitur, Rossano 2018.

Giuseppe CALIÒ, Un Santo nel tempo, Studio Zeta, Rossano 1995.

Franco Emilio Carlino
Autore: Franco Emilio Carlino

Nasce nel 1950 a Mandatoriccio. Storico e documentarista è componente dell’Università Popolare di Rossano, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e socio corrispondente Accademia Cosentina. Numerosi i saggi dedicati a Mandatoriccio e a Rossano. Docente di Ed. Tecnica nella Scuola Media si impegna negli OO. CC. della Scuola ricoprendo la carica di Presidente del Distretto Scolastico n° 26 di Rossano e di componente nella Giunta Esecutiva. del Cons. Scol. Provinciale di Cosenza. Iscritto all’UCIIM svolge la funzione di Presidente della Sez. di Mirto-Rossano e di Presidente Provinciale di Cosenza, fondando le Sezioni di: Cassano, S.Marco Argentano e Lungro. Collabora con numerose testate, locali e nazionali occupandosi di temi legati alla scuola. Oggi in quiescenza coltiva la passione della ricerca storica e genealogica e si dedica allo studio delle tradizioni facendo ricorso anche alla terminologia dialettale, ulteriore fonte per la ricerca demologica e linguistica