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Caldo, proverbi, e amori strani...

3 minuti di lettura

Fa molto, molto caldo, e a me non torna a genio chi ha sempre ragione. I due enunciati si sposano assai male. L’articolo che segue giustificherà cotali nozze.

         Soppesiamone il primo: “Fa caldo, molto caldo.” Scrivo con l’intenzione di far uscire il pezzo in Settembre, quando il sole, si spera, sarà meno convinto. Oggi, intanto, fa caldo. È il pomeriggio del 23 di Luglio, mi trovo nella mia beneamata saggia leggiadra burbera umana dolcissima Firenze, e l’asfalto, ingrommato dal perenne viavai delle auto, infoca allo spasimo la lava che il sole profonde. Di una tale calura patisco come ognuno; la volgo in scherzo, come per certo fanno in tanti; non la sbrodaglio in piagnisteo: lagnarsi è infatti uno dei più squallidi ma funzionali modi per avere ragione senza averla. Se nel nostro emisfero non facesse caldo a fine Luglio, mi turberei non poco. Faccia caldo nel tempo che deve: compito nostro, mostrarci sorridenti e semplici difronte alla necessità e sapientemente reattivi contro le aspre contingenze cui si possa tentare di porre rimedio - e qui la contingenza è la tropicalizzazione del pianeta, fatto acclarato e misurabile; quanto al come combatterla, nulla ne so, nulla ne dico. Tra chi ha sempre ragione, e qui da dire ho invece molto, spicca appunto gagliardo chi ce l’ha di continuo con la situazione metereologica. Da quando ne ho memoria, a stuoli ne ho sentiti maledire la canicola, e con oscena soavità imprecare al primo sbuffo di vento più fresco; a stuoli invocare la pioggia per dolersi stupiti ai primi goccioloni. Estendo un po’ il discorso per abbrancarlo meglio. Me bimbo, era accaduta una vicenda che inutile e lungo sarebbe narrare, e un canuto prozio ne distillò la morale in un antico e assai vero proverbio: “A chi sparte, / meglia parte!”, che vuole dire che chi divide qualcosa assegna sempre a sé la porzione migliore. Passano alquante settimane. Si presenta una contingenza del medesimo genere ma di segno opposto, e il prozio ritorna a scodellare il vero col proverbio che segue: “Chini sparte nente tene, / e malanimu li vene!”, che sta a significare che chi fa le parti resta a mani vuote e s’incupisce. Quel possesso sereno di due verità reciprocamente repugnanti mi fulminò. Saggezza è aguzzare certezze, e ridere in pace del polimorfo intruglio del discorso comune. Ne rido io, sì, ma senza pace. So che le ragioni altrui esistono, una per una e tutte in blocco; mi è chiaro e accetto che pretendere logici la Vita e il Mondo è dannarsi a perenne amarezza; so intendo accetto, ma i nervi scalciano, e un’ira breve mi percorre. Non sono saggio. Forse mai lo sarò. Vorrei che la realtà umana coniugasse il maximum possibile di Verità al maximum possibile di Carità, e chi si crede incapace d’errore mi perturba il sogno. Incoerenza e rivendicatorio piagnisteo sono due sole fra le milletré vesti che l’insulto alla Logica indossa. Un’altra e chiudo. Vaccarizzo Albanese, borgo piccino e spopolato. Elezioni amministrative. Due le liste. Chiedo a un gruppo di amici: “Se i votanti son pari di numero e le due liste ottengono eguale somma di suffragi, che succede?” Risposero in coro, e seguitarono alzando la voce o scandendo le sillabe: “Che prendano lo stesso numero di voti è impossibile, im-pos-si-bi-le!” Dovetti abbandonarli alla loro erronea certezza; e che quella brigata di galantuomini non riuscisse a intendere la differenza tra l’impossibile e l’improbabile, per giunta blandamente tale, mi irrita ancora, come chi legge avverte.

         Ho cominciato con il caldo, e con esso concludo. L’estate dello scorso anno il sonno mi veniva turbato e interrotto, oltre che dalle mie solite paturnie nervose, dal bollore dell’aria e dei muri. Mi salvai con l’acquisto di un bel ventilatore. Scrissi la filastrocca che più in basso riporto, e per WhatsApp la inviai agli amici accompagnandola con la foto che correda codesto articolo. Con il quale, per ora, chiudo la mia collaborazione con l’Eco dello Jonio.

         La peste, la canicola, / l’affanno in ogni petto, / i sudori che grondano / con macabro dispetto; // l’interrogarsi isterico / se vaccinarsi è saggio / o se i vaccini affrettano / il nostro ultimo viaggio; // gelati che t’arrivano / al labbro già squagliati, / granite che si disfano / in brodi spudorati; // i cani s’addormentano / sognando inverni puri, / i gatti in furia graffiano / i tronchi il suolo i muri; // le menti istupidiscono / nel vuoto d’ogni istante, / e danzano le sillabe / nell’etere vibrante; // ma la misura colmasi / in un perverso amore, / giacché palpito e spasimo / per il ventilatore...

Ettore Marino
Autore: Ettore Marino

Lettore, se ne hai curiosità, sappi che Ettore Marino, arbërèsh di Vaccarizzo Albanese, è nato a Cosenza nel 1966; che ha collaborato e collabora con varie gazzette cartacee e digitali; che per Donzelli Editore è uscita, nel 2018, la sua "Storia del popolo albanese. Dalle origini ai giorni nostri"; che nel 2021 è diventata libro, per le Edizioni "ilfilorosso", una sua raccolta di liriche intitolata "Patibolo"; che nell’Aprile del 2022 ha pubblicato, per Rubbettino Editore, "Un quadrifoglio, verde tra le spine. Traduzioni da poeti italoalbanesi"; che ha scritto molte altre cose di cui va talora chiedendosi se resteranno sempre inedite; che è arcilieto di collaborare con L’Eco dello Jonio; che il Covid, di cui pure ha patito, non gli ha fatto dismettere l’uso del tabacco; che ignora quando e come morirà.