Fadia, quello struggente romanzo sulla terrazza del Mu.Mam di Cariati
Accanto alla lettura di significative pagine del romanzo, un costruttivo dibattito sull'infelice condizione della sanità calabrese, con la forte partecipazione delle associazioni Jonio Wild, Le Lampare, PoeMare e del regista Federico Greco
CARIATI – Ieri sera, nella terrazza culturale del Museo del Mare, dell’Agricoltura e delle Immigrazioni a Cariati si è tenuta la presentazione dello struggente romanzo di Santo Gioffrè, ‘’Fadia’’.
L’autore – medico e scrittore calabrese molto attivo nella vita politica – nel 2015 è stato commissario straordinario dell’Asp reggina. In questa realtà si inserisce la forte partecipazione delle Associazioni Jonio Wild e Le Lampare – combattenti resistivi di questa nostra terra – affiancati dalla nuova associazione di poesia, arte e cultura ‘’PoeMare’’, e dall’indispensabile Federico Greco, scrittore e regista del film che ha reso internazionale la lotta per l’ospedale di Cariati: “C’era una volta in Italia - Giacarta sta arrivando”.
Questo intreccio di presenze coese viene ben spiegato da Cataldo Curia, presidente di ‘’Jonio Wild’’, associazione di turismo locale responsabile: «Questa terra ha bisogno di fare rete, tra associazioni e portatori sani di calabresità; tempo fa abbiamo lanciato questo hashtag perché noi ci sentiamo tali, trattando con le persone di questioni turistiche ma anche politiche. Tutti rimangono impressionati dalla nostra voglia e determinazione di vivere in questa terra e lottare per farla ritornare allo splendore dei Greci, la Costa degli Dei».
Il secondo intervento ha riguardato Mimmo Formaro, cuore delle Lampare, associazione che ha combattuto e che combatte per il diritto alla salute pubblica, e non solo: «Il libro di Santo parla anche di politica, parla di amore, della bellezza della vita, di rimorsi e rimpianti. Santo ha la capacità di farti vedere davanti ciò che scrive. E’ qualcosa di meravigliosamente cinematografico. Bisognerebbe imparare anche dall’organizzazione di una serata come questa: oggi dobbiamo incontrarci per presentare il libro, domani per lottare per l’ospedale di Cariati, dopodomani per la spazzatura che è arrivata fin sopra le nostre orecchie, per l’acqua che manca e per tutto quello che si declina in diritti negati. La Calabria ha bisogno di organizzarsi. Non abbiamo più nulla da perdere, abbiamo soltanto da riconquistare e rilanciare, noi stessi e la Calabria. E questo libro lo fa».
Durante la serata è stato dedicato ampio spazio alla lettura di alcune significative pagine del romanzo da parte dell'associazione PoeMare, alternate e compenetrate da un costruttivo dibattito sull'infelice condizione della sanità calabrese.
Il percorso del libro è stato seguito anche dallo scrittore e regista Federico Greco: «Mi sono reso conto che ci sono delle lotte locali a testa bassa e a pancia a terra, come quelle che fanno queste associazioni.Sopra loro ci siamo noi, ci sono io che mi limito a raccontare quello che fanno loro, e poi sopra ancora c’è un terzo livello composto da gente che ha fatto queste lotte e adesso le racconta al mondo (Walter, Loach, Naomi Klein, Stephanie Kelton). Ho scoperto che c’è un fortissimo legame tra chi lotta e chi ha lottato raccontandolo con le arti; ho sentito un calore nel cuore pensando di far parte di questo circolo come testimone.
Il libro di Santo mi ha dato questa grande conferma: non tutto è perduto. Lo strumento della narrazione è un modo di riportare ad altezza uomo la politica dall’Olimpo dove spesso purtroppo la lanciano per non farci capire niente. Per documentare queste lotte – in cui diciamo cose che non si possono dire – non abbiamo avuto finanziamenti pubblici e siamo stati scartati dai festival, ma siamo riusciti ad ottenere un grande seguito cinematografico. Qualunque storia risponde all’enorme interrogativo: ’’Chi sono io?’’. Tutto il libro è incentrato su questo e sul saper rispondere a tale domanda. Il collegamento tra il mio lavoro e quello di Santo è la necessità di raccontare quello che si è capito a livello narrativo, l’unico livello che secondo me intercetta cuori e pancia della gente, come fa Fadia».
Apprendiamo che il romanzo è la visione di un uomo - Andrea Bisi - che a seguito di un arresto cardiaco torna in vita, sotto le scosse del defibrillatore e - sconvolto da ciò che è successo - cerca rifugio nella memoria. Il protagonista, frutto di violenza, dovrà mangiare terra e polvere prima di riscattarsi, diventando poi un medico con una grande sete di conoscenza e una forte passione per la Siria. Nel tentativo di recuperare un equilibrio e Fadia - giovane novizia cattolica di cui si è innamorato - tornerà in una Siria distrutta dalla guerra e senza i suoi amici uccisi atrocemente dai terroristi dell’Isis.
L'autore spiega: «La storia è in gran parte autobiografica, avevo l’esigenza di raccontare. Noi uomini pensiamo di poter controllare tutto, ma non è così perché la morte può arrivare in qualsiasi momento. Crediamo di essere potenti, in grado di poter superare ogni sentimentalismo umano. In questo libro c'è il dramma della Siria ma anche la Calabria degli anni ’50 in cui vi erano numerosi ‘’figli muli’’, figli non legittimi, senza nessun diritto e senza nessun riconoscimento. Dopo l’unità d’Italia vennero istituiti brefotrofi, luoghi in cui il 50% dei bambinelli moriva entro tre mesi, e chi sopravviveva aveva un tristissimo destino. La nostra vita all'epoca era questa, prima dello Statuto dei lavoratori, della sanità pubblica e dell’accesso gratuito all’università per tutti. Ora le università sono a numero chiuso, propedeutiche alla privatizzazione della sanità».
Riflettendo poi sul ruolo dello scrittore in questa terra aggiunge: «C’è bisogno anche che lo scrittore affronti di petto la situazione calabrese, c'è bisogno che pure la gente ignorante capisca. Quest'ultima infatti è portata a pensare sia vero che un ospedale accanto ad un altro non abbia funzione, mentre una volta l’ospedale era segno anche di umanizzazione della malattia. Oggi la malattia è arida, qualcosa di estremamente professionale, senza dialogo e conforto, senza possibilità di scegliere. Ci stanno portando a questo: chi ha i soldi va avanti e campa.
A Cariati c’è la continuità della lotta, a differenza di altri posti in cui la lotta è a singhiozzi, si ferma per il contentino, poi si riprende. Da voi è continua, è levigare la pietra sul fiume dopo cento anni; e se otterrete la riapertura dell’ospedale sarà per questo. Questa perseveranza - che caratterizza Le Lampare - mi ha attirato».
La serata è terminata con l'augurio e la speranza di avere il coraggio di cercare la nostra “Fadia” e di ritrovare l’attivismo e la coscienza politica che prima erano tutto.