“È stata la mano di Dio”
L’ultimo film di Sorrentino, candidato ai Golden Globe per rappresentare l’Italia
ROMA - Spogliarsi è un gesto intimo, lo sappiamo tutti. Eppure ci sono dei momenti in cui quel gesto, così intimo, diventa pubblico. Ogni volta che un autore scrive qualcosa, si spoglia. Concede un pezzo della propria vita a qualcun altro. Spogliarsi però è anche un gesto complicato. C’è bisogno di fiducia. C’è bisogno di sentirsi pronti. A volte, forse, può addirittura essere un atto di fede. Paolo Sorrentino per la prima volta a cinquant’anni, si spoglia davanti al suo pubblico. Il suo ultimo lavoro, “È stata la mano di Dio” , uscito il 15 dicembre su Netflix, è la consacrazione totale del regista napoletano a “estetizzatore” (termine coniato per lui da New York Times) del mondo.
Vi chiedo un atto di fede: spogliatevi da ogni idea che avete di Sorrentino. Guardate questo film come se non aveste visto altro. Scoprirete un uomo con una missione diversa da quella precedente. Per la prima volta nella sua vita Sorrentino non ritocca la realtà. Non mette la bellezza al primo posto. Non ricerca la perfezione. Non si spaventa di essere il cuore della storia, prima che la testa della storia.
“È stata la mano di Dio” si muove sui beats di Napoli, segue i battiti cardiaci delle onde del mare. Alterna gioia e dolore. Risate e lacrime. Vita e morte. Il film è la biografia del regista partenopeo, che rivive nell'alterego di Fabietto Schisa, interpretato da Filippo Scotti in modo magistrale. Fabietto è un ragazzo silenzioso, che vive a suo agio solo nei confini della sua famiglia. Non ha amici e si stringe nella musica del suo walkman che però nel film non è mai protagonista, se non nell’ultima scena, quando la voce di Pino Daniele riempie il silenzio di una partenza dagli occhi tristi.
Tutto il primo atto è la presentazione di una famiglia come tante, fatta di battute, risate e prese in giro nei grandi pranzi di famiglia. Tutti vivono aspettando Maradona, che è la divinizzazione del destino. Maradona come Godot, viene atteso per la salvezza, per il riscatto, per la rivincita. Se ne parla per strada, ma soprattutto se ne parla in casa. Il padre di Fabietto, interpretato da Toni Servillo, grande prestazione attoriale anche per lui, ma ormai ci siamo abituati, trova la sua redenzione solo quando Maradona arriva a Napoli, così il miglior regalo di compleanno che può fare a suo figlio è l’abbonamento per il Napoli. L’unico vero gesto amorevole di un padre, che normalmente si confina nella superficialità dei suoi segreti e difficilmente riesce a comunicare con il figlio.
Il vero personaggio centrale di questa storia è Maria Schisa, la mamma di Fabietto, interpretata da Teresa Saponangelo. Il rapporto tra Fabietto e la mamma non è morboso, ma delicato. Si cercano con gli occhi. Si sorridono. Si prendono cura l’uno dell’altro con piccoli gesti. Anche se resta il sapore amaro di qualcosa di non detto in un atteggiamento affettuoso ma quasi imposto dalla vita. Quando i genitori di Fabietto muoiono nella loro casa vacanza per un’intossicazione da monossido di carbonio, Fabietto è allo stadio a guardare Maradona.
Per questo allineamento celeste, Fabietto può raccontare al mondo la sua storia. Perchè è stata la mano di Dio a salvarlo. Sorrentino, per la prima volta, si chiude in un’opera intima, lenta e rigorosamente vera. Si concede pochissimi quadri alla Sorrentino, perché questa volta c’è bisogno di empatia. La necessità di rivedersi, di ritrovarsi, di riconoscersi in Fabietto o in qualsiasi altro personaggio è un momento condiviso dall’autore e dallo spettatore. Ognuno di noi è un personaggio di “È stata la mano di Dio”.
Uno qualsiasi di noi, può riconoscere guardando nella sua famiglia, un personaggio di “È stata la mano di Dio”. Per questo motivo si vive questo inno alla realtà con empatia. Ci si perde nelle difficoltà quotidiane insieme alla famiglia Schisa. Soprattutto però, si esce da questo film sudati come dopo aver ballato un tango argentino, perché alla fine c’è tutta la voglia di ritornare alla vita. L’opera è un film di formazione che si concede attimi di bellezza, che vuole urlare al mondo che ognuno ha qualcosa da dire, se smette di vivere nel passato. Se le ombre dei lutti, della sofferenza, delle lacrime, vengono accecate dalla luce della narrazione.
Il sentimento del volvér, quello stato d’animo tipicamente argentino, l’emozione di essere finalmente là dove si desiderava essere, nel luogo che si sente come casa, la culla del proprio essere, viene espresso con la presa di coscienza di se stessi dopo una perdita. Così, come Fabietto Schisa si trasforma in Fabio Schisa quando capisce qual è il suo sogno e inizia a inseguirlo, anche noi dopo aver visto il film, troviamo la voglia di essere uomini con sogni da inseguire. Con confidenze da esprimere. Con la forza giusta per ritrovare qualcuno che nella vita avevamo lasciato indietro. Per salutare qualcuno che non c’è più ma sarebbe dovuto esserci. Perché, come insegna Maradona, c’è bisogno di tanta ostinazione e forza di volontà per segnare una punizione.
Andrea Costantino Levote
In copertina: Fabietto, Maria e Saverio Schisa, interpretati da Filippo Scotti, Teresa Saponangelo e Toni Servillo.