In Calabria tutte le storie dei terremoti dell’età moderna sono a doppio filo al patos, alla fede e all’ancestrale forma del popolo calabrese di esorcizzare la paura attraverso la fede e attraverso riti che si ripetono, ininterrottamente. È il caso della Notte dei Fuochi di San Marco che richiamano la memoria al terribile terremoto che scosse la fascia ionica e la sibaritide nella notte tra il 24 ed il 25 aprile del 1836. Un rito magico, di esorcizzazione appunto, che si ripete ogni anno da 184 anni per scacciare la paura ed allontanare il ricordo della tragedia. Ma i fuochi di San Marco, pur essendo diventati nel tempo l’unico vero evento laico del territorio, hanno una vena profondamente religiosa. È l’uomo, impotente davanti alla forza della natura, che si rifugia nella fede e nella protezione di Dio. Una chiave di lettura vera ed affascinante che, proprio di recente, è stata al centro della tesi di laurea dal titolo “Quando Tutto Crolla - Il Terremoto del 1783 in Calabria: dinamiche sociali e territoriali”. L’autore è Dylan Brunetti, oggi dottore in scienze storiche e del patrimonio culturale, e giovane concittadino del territorio. Che è partito dal terremoto del 1783, quello che scosse Messina e Reggio Calabria e l’allora Regno delle due Sicilie. Uno studio che ha evidenziato l’impatto che i terremoti hanno avuto sulla società in età moderna. «I terremoti sono stati eventi – dice Brunetti - che hanno fortemente caratterizzato la vita di milioni di persone, usi, costumi, credenze religiose e dimensioni antropologiche, su più strati sociali». «I terremoti, in realtà, - precisa ancora il giovane dottore in scienze storiche - non sconvolgono la vita della società esclusivamente dal punto di vista quantitativo, cioè con la distruzione di edifici, con le vittime e con il crollo dell’economia, ma anche dal punto di vista qualitativo. Infatti, possiamo constatare come gli eventi sismici abbiano inciso sulla dimensione psicologica delle comunità che vivono questo trauma. Questa situazione di precarietà, di malessere, di fame, di paura, fece sì che si ebbe nella cultura popolare un forte cambiamento nella mentalità collettiva soprattutto per quanto riguardava le pratiche religiose. La popolazione calabrese era terrorizzata di subire l’ennesima catastrofe naturale, viveva la quotidianità con la paura che potesse succedere nuovamente un forte terremoto come quello del febbraio 1783 (che poi si è verificato 53 anni dopo, nel 1836, colpendo l’area nord della Calabria)». Ecco allora l’esorcismo popolare: «Da qui – spiega Brunetti - ci fu l’attuazione di riti spirituali prettamente medievali che sembravano essere stati superati durante il Seicento e il Settecento. Ci fu il ritorno al culto dei santi, alle preghiere collettive affinché nel momento in cui fosse successa un’altra tragedia, non avrebbe colpito nuovamente questa popolazione». I riti spirituali non erano sempre uguali ma cambiavano in base alla gravità della scossa di terremoto. Infatti nelle zone più gravemente colpite «si trattava di riti mirati ad assicurare la salvezza delle anime dei morti ed il ripristino delle attività religiose quotidiane; nelle aree meno gravemente colpite, quindi meno danneggiate, si trattava di riti mirati esclusivamente al ringraziamento del pericolo scampato». Una “prassi” che ha influito e non poco anche su quello che sarebbe stato il day after del terremoto del 1836 a Rossano: un popolo impaurito, senza distinzione di ceto sociale, che si è ritrovato d’un tratto fuori dalle proprie case, attorno ad un fuoco che bruciava paura e speranza, e che invocava protezione dal cielo.
mar.lef.