«Un discorso sulle strategie di un turismo alternativo in Calabria presuppone innanzitutto, ovviamente, l’offerta organizzata, qualificata e completa, da parte di enti, agenzie e strutture ricettive di ogni tipo, di un turismo di routine, che indirizzi ai luoghi ricreativi tradizionali, di bellezza paesaggistica, di arte e di cultura, in primis i siti archeologici, di cui la Calabria è una delle regioni più ricche d’Italia. Un turismo alternativo in tal caso avrebbe piena ragione di porsi, in quanto preesisterebbe un modello di turismo predominante e produttivo in termini economici. Dobbiamo però rilevare come a questa prospettiva, si veda il caso eclatante e secolare di Sibari, non corrispondano attenzioni, investimenti e una fruizione dell’offerta all’altezza delle aspettative di un turismo di qualità, e che in Calabria i due modelli rischiano di rimanere indifferenziati o poco riconoscibili ai fini di una scelta varia e consapevole». Va subito al nocciolo del discorso,
Rocco Taliano Grasso, intellettuale e poeta molto noto, anche fuori dal nostro territorio.
Eppure la nostra regione, ma anche il nostro territorio, sono un’autentica miniera di risorse e di possibili offerte per un turismo alternativo: allora, perché stenta ad affermarsi? «Dal Pollino alla Sila all’Aspromonte, scendendo verso il mare, la regione offre scenari di vergine meraviglia, per chi desidera arricchire le sue vacanze con la cultura e l’enogastronomia, coniugare l’esercizio fisico e il contatto con la natura, sperimentare l’ecoturismo nelle sue diverse manifestazioni, il trekking, il safari fotografico e le escursioni nei Parchi, nelle foreste, fin nei recessi più arcani e selvaggi. Da lì a immergersi negli incanti di paesi, ricchi di storia ed arte, di monumenti e siti archeologici, il passo è breve: dovrebbe essere questa la nostra ricchezza».
Ma è veramente così difficile coniugare questi diversi aspetti e trasformarli in attività economica e turistica? «Marcel Proust avverte che il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. Questo vale soprattutto per chi non desidera essere soltanto un turista di passaggio, ma un vero viaggiatore, attento all’ antropologia dei luoghi, quindi alle culture e alle tradizioni, ai sapori e ai linguaggi molteplici della comunicazione e, nel contempo, interessato profondamente a quell’osmosi tra la propria cultura e quella del territorio ospitante, non a collezionare sguardi ma a unire anime. Credo sia questa la logica alla base di un’altra strategia di approccio ai luoghi, che non solo consente una full immersion nella vita sociale e culturale delle popolazioni locali, ma ne stimola le capacità imprenditoriali e la vocazione turistica».
Il nostro centro storico che ruolo avrebbe in questa nuova visione turistica? «Vale la pena ribadire, tra le varie formule di ospitalità, quella del paese-albergo, su cui dovrebbero puntare consistentemente progetti e investimenti, per l’adattamento e la ristrutturazione di case non più abitate, o abbandonate da tempo. Questo tipo di offerta può sembrare rivolta a un turismo di nicchia ma il trend, ultimamente, è fortemente in crescita e ancora prevalentemente da valorizzare, se si considera lo spopolamento di interi paesini dell’entroterra: in questo contesto il centro storico di Cariati è il
non plus ultra. In netta contrapposizione al turismo mordi e fuggi e di matrice consumistica, vi è questa vitalistica esigenza di immergersi nella natura e nell’anima dei luoghi in tutte le loro componenti; come qualcuno argutamente ha detto, dalla filosofia del
veni vidi vici ci si converte a quella del
venni vidi vissi».
d. m.