Longobucco, 4:03 del mattino: quando un fulmine colpì U' Campanaru
Il racconto di Emanuele De Simone di quegli attimi di ventun'anni fa in cui la notte del 30 dicembre cambiò per sempre la storia del campanile e di un paese intero
LONGOBUCCO - Alle 4:03 del 30 dicembre 2004, nel silenzio spezzato da vento, neve e tuoni, Longobucco fu colpita al cuore: U' Campanaru! Un boato improvviso, secco, irreversibile: un fulmine si abbatté sul campanile della Chiesa Matrice, distruggendone la cuspide e spargendo ovunque le antiche pietre di tufo. Tetti, auto, sagrato, strade: tutto apparve ferito, come se il tempo si fosse fermato in quell’istante preciso.
A distanza di ventuno anni, quel momento torna a vivere nel racconto intenso e personale di Emanuele De Simone, allora sindaco, che rievoca ora non solo l’evento, ma l’anima collettiva di una comunità chiamata a reagire a una prova durissima. La sera precedente, il Consiglio comunale si era protratto fino a tardi: si parlava di cultura, di foreste, di parchi, di futuro. Poi la notte, il maltempo, l’attesa inquieta. Fino a quel boato.
L’immagine che si presentò all’alba fu devastante: il campanile, simbolo identitario e storico, mutilato. Un colpo che non fu solo materiale ma profondamente emotivo. Eppure, proprio da quella ferita nacque una delle pagine più alte di unità civile e istituzionale nella storia recente del paese.
Scattarono immediatamente i soccorsi e le allerte: Prefettura, Vigili del Fuoco, Protezione Civile, Soprintendenza, Parco Nazionale della Sila, Provincia, Regione. Arrivarono sul posto, già nelle prime ore del mattino, rappresentanti delle istituzioni provinciali e regionali. Fu garantito un contributo immediato per la ricostruzione. Ma, soprattutto, si compattò il Consiglio comunale, senza distinzioni, per mettere in sicurezza l’area e avviare il recupero.
Iniziaono mesi intensi, fatti di impalcature, progetti, studi storici, rilievi tecnici, scelte delicate. Ingegneri, architetti, storici, artigiani, maestranze locali: una vera e propria comunità operosa che lavorò giorno e notte per restituire dignità e bellezza a quella torre normanna, conosciuta da tutti come “u' Pupulu e ru Campanaru”. Un lavoro meticoloso, rispettoso della memoria e dei materiali originari, che arrivò a recuperare persino la banderuola segnavento con la croce.
Il 1° agosto 2006, poco più di un anno dopo quella notte buia, Longobucco poté finalmente festeggiare. Il campanile tornò a svettare sul paese, ricomposto, risanato, simbolo non solo di fede e storia ma di resilienza collettiva.
Oggi, a vent’anni esatti da quel fulmine, il ricordo non è solo nostalgia o dolore. È memoria viva. È consapevolezza di ciò che una comunità può fare quando si stringe, quando riconosce nei propri simboli una parte essenziale della propria identità. Perché quella notte Longobucco fu colpita al cuore, sì. Ma seppe rispondere con una forza che ancora oggi illumina la sua storia.