Cozzo del Pesco, un anno dopo: il silenzio che uccide. E ora l’inverno farà il resto
Dodici mesi di appelli e denunce non sono bastati: nessun intervento, nessuna bonifica, nessuna messa in sicurezza. L’oasi dei Giganti continua a morire nell’indifferenza di Comune e Regione. Presto tornerà di nuovo la neve a completare l'opera
CORIGLIANO-ROSSANO – È passato quasi un anno da quando, il 20 gennaio scorso, raccontammo la caduta del “millenario 53”, il più grande e simbolico dei castagni di Cozzo del Pesco (leggi qui), frantumato sotto il peso della neve e di decenni di abbandono. Era un monito, un grido, un simbolo ferito: quell’albero non era soltanto un gigante che ha visto il correre lento dei secoli, ma un pezzo di storia, identità e memoria della Sila Greca rossanese.
Da allora è cambiato qualcosa? No. Non una bonifica. Non un intervento di messa in sicurezza. Non una riqualificazione. Non un’azione concreta da parte di chi dovrebbe tutelare quel patrimonio naturale unico.
L'Eco dello Jonio in questi mesi ha più volte denunciato lo stato di mortificazione dell’oasi, sfociate anche in segnalazioni alla Procura della Repubblica di Castrovillari. Abbiamo raccolto segnalazioni, abbiamo ascoltato le guide ambientali, abbiamo documentato l’avanzata del degrado. Abbiamo cercato, insomma, di sensibilizzare cittadini, associazioni ed enti. Ma il risultato, oggi, è un deserto amministrativo che fa rumore più degli alberi che cadono.
Il Comune di Corigliano-Rossano è proprietario dell’area. La Regione Calabria è l’ente che deve programmare e garantire la tutela forestale. Entrambi sapevano e sanno le condizioni di quell'area. Entrambi sono stati allertati da tempo. Entrambi, però, hanno lasciato scorrere altrri dodici mesi senza intervenire. Senza muovere nemmeno una foglia.
Che fine ha fatto la “martellata” sulle piante soffocanti individuate anni fa? Perché gli abeti Douglas – l’errore storico che ha compromesso il castagneto – sono ancora lì? Quali relazioni, richieste formali, progetti o sollecitazioni sono stati prodotti negli ultimi mesi? Nessuno è in grado di dirlo, perché nulla, a quanto pare, è stato fatto.
Nel frattempo, intorno ai tronchi secolari si allarga un cimitero verde fatto di chiome spezzate, rami appassiti, radici che cedono. Un cimitero dell'orrore che continua a "sconvolgere" quanti si inerpicano verso Cozzo del Pesco, a due passi dal Patire, per andare ad ammirare quel che resta di quelle meraviglie. La “morte” dei giganti procede per consunzione, ma non è la natura a essere colpevole: è l’uomo che ha abbandonato quel luogo. Vi abbiamo raccontato, appena un mese fa, dell'esperienza paradossale di una famiglia di turisti tedeschi smarriti, impauriti che, una volta fatta visita all'Oasi, continuavano a ripetere - ‘It is crazy, it is crazy! - Non riuscivano a credere che un sito naturalistico indicato dalle guide turistiche fosse ridotto così. Imbarazzante.
Che succede ora? Si avvicina una nuova stagione di gelo e precipitazioni e sulla Sila Greca, con molta probabilità, tornerà di nuovo la neve. O così dovrebbe essere. Ma se l’anno scorso è crollato un solo castagno, oggi il rischio è che l’inverno faccia il resto. Le stesse fragilità strutturali che portarono il millenario 53 a piegarsi come un vecchio guerriero senza difese, oggi minacciano l’intero castagneto che è piegato non solo dalla sua storia ma anche dall'incuria, dal disinteresse e dal gioco di rimpalli di responsabilità.
Una domanda, allora, è legittima: quanti altri alberi dovranno cadere prima che qualcuno si assuma le proprie responsabilità?
La città che fotografa monumenti, che si promuove bandiera blu, che si dichiara green, che si riempie la bocca di parole come sostenibilità, biodiversità, identità… è la stessa città che lascia morire uno dei suoi patrimoni naturali più preziosi.
L’oasi di Cozzo del Pesco non è un bosco qualunque: è un museo vivente, un archivio naturale che racconta mille anni di storia silana. Eppure viene trattato come un relitto dimenticato.
Le associazioni locali – eccezion fatta per poche realtà – sono in larga parte spettatrici passive o, peggio, comparse di un ambientalismo di facciata. Le istituzioni? Assenti. La cittadinanza? Distratta. Tutto questo mentre una risorsa identitaria si sgretola sotto i nostri occhi.
Ecco perché si è ancora in tempo, nel tempo limite, per approntare un piano urgente di tutela e recupero. Serve la rimozione degli abeti infestanti. Serve la bonifica del sottobosco. Serve un progetto di valorizzazione turistica che abbia cognizione reale dei luoghi. Serve, soprattutto, qualcuno che finalmente decida di assumersi la responsabilità di salvare ciò che resta.
Perché un’altra nevicata potrebbe essere sufficiente a cancellare per sempre un patrimonio che nessuno potrà più restituire a questa comunità.