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«Sugar Daddy e Sugar Baby non sono mode ma è prostituzione minorile»

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CORIGLIANO-ROSSANO – «I fenomeni social bisogna avere il coraggio di chiamarli con il loro nome. Baby Sugar e Sugar Daddy non sono linguaggi nuovi della gioventù, non sono giochi di seduzione, non sono esperienze mistiche di crescita. Sono prostituzione minorile mediata dal digitale. E continuare a trattarla come curiosità da talk-show significa lasciare soli i minori, abbandonarli alla parte più sporca della rete e alla parte più immatura del mondo adulto».

È l’allarme frontale che lancia la pedagogista Teresa Pia Renzo ad una società disattenta e impreparata ad attutire i colpi della globalizzazione digitale, lanciando l’allarme su un fenomeno in espansione in Calabria e che rappresenta un potenziale pericolo lì dove diseducazione, mancanza di valori e vicino un device.

«Uno Sugar Daddy è un uomo adulto che offre soldi, vestiti, viaggi, regali e attenzioni. Una Baby Sugar è una minorenne che accetta questo scambio in cambio di status, oggetti di lusso, approvazione sociale, conferme personali. È una relazione – spiega la pedagogista - basata sulla transazione, non sull’affetto. Non è adescamento casuale; è un’adesione volontaria a piattaforme specifiche dove molte ragazzine si iscrivono da sole, si presentano, lasciano contatti, cercano uomini adulti pronti a dare in cambio ciò che desiderano. E non raccontiamoci che accade solo nelle metropoli. Il digitale non ha confini. Una ragazzina del nostro territorio può accedere agli stessi siti, alle stesse dinamiche, agli stessi contatti. E infatti succede. Succede anche qui, in Calabria, nelle nostre città, nelle nostre scuole. Succede mentre gli adulti sono distratti, troppo convinti di vivere nella solita bolla protettiva che li estranea dal mondo di fuori e i giovani, invece, sono sempre più convinti di essere immuni da pericoli».

«Un fenomeno che mette in mezzo tutti, dalla società per finire ai singoli individui, e dove non c’è un unico responsabile individuabile nell’adulto predatore. Qui – ricorda l’educatrice - c’è un concorso di colpe che nessuno vuole vedere. Le bambine che entrano in questi siti non lo fanno per caso. Hanno bisogno di competere, di essere viste, di dimostrare che possono permettersi ciò che vedono sui social. Vogliono la borsa firmata, il viaggio da postare, il racconto da fare alle amiche. Vogliono la scorciatoia che li faccia sembrare importanti».

«E la domanda che pone questa condizione è spietata, ma necessaria: quando una sedicenne sparisce per giorni e torna con regali costosi, dove sono i genitori? Dove sono quando chiude la porta della stanza per ore col telefono in mano? Dove sono quando racconta viaggi che non possono essere gite tra amiche? Il primo anello che si spezza è sempre quello adulto. Un minore non arriva a vendere se stesso in un contesto stabile, seguito, ascoltato».

«Chi pensa che sia un problema del Nord, o delle grandi città, è fuori strada. Il web porta tutto dappertutto. Le fragilità educative non conoscono confini geografici. E la voglia di apparire, di esibire, di imitare i modelli tossici dei social è identica ovunque. La pedagogista richiama anche i dati riportati dalle organizzazioni che monitorano lo sfruttamento minorile: migliaia di adolescenti europei sono coinvolti in pratiche di transactional sex, spesso senza percepire di essere vittime. Il fatto che la minorenne dica di essere consapevole non cambia nulla. Quando c’è denaro, quando c’è un adulto, quando c’è uno scambio, non c’è libertà: c’è violenza. È sfruttamento, è abuso, è perdita di dignità».

«Purtroppo questa deriva – avverte ancora la pedagogista - non si argina parlando ai ragazzi. Bisogna parlare agli adulti. Ai genitori che non controllano, agli insegnanti lasciati soli, alle istituzioni che intervengono solo quando esplode il caso, alla società che pretende figli perfetti ma non offre alcun modello credibile. Finché continueremo a cullare l’idea che sono cose che capitano agli altri, lasceremo i nostri minori nel mirino di chi è disposto a comprare il loro corpo come fosse un accessorio. La prima prevenzione, allora, è la presenza. La seconda è il limite. La terza è la responsabilità. Nessun adolescente – conclude Teresa Pia Renzo - può difendersi da solo da un modello di successo costruito sulla mercificazione di sé».

Redazione Eco dello Jonio
Autore: Redazione Eco dello Jonio

Ecodellojonio.it è un giornale on-line calabrese con sede a Corigliano-Rossano (Cs) appartenente al Gruppo editoriale Jonico e diretto da Marco Lefosse. La testata trova la sua genesi nel 2014 e nasce come settimanale free press. Negli anni a seguire muta spirito e carattere. L’Eco diventa più dinamico, si attesta come web journal, rimanendo ad oggi il punto di riferimento per le notizie della Sibaritide-Pollino.