Sibari non può essere un bivio: è l’istmo che può cambiare il mezzogiorno
La Sibaritide-Pollino si candida a diventare il nodo infrastrutturale più strategico del Sud Italia. Non per rivendicazione territoriale, ma per geografia, logistica e futuro. Il fronte istituzionale si allarga: Mundo, Greco, ora anche Uva
CORIGLIANO-ROSSANO - Sibari vuole essere solo un bivio o qualcosa di più? — Ce lo siamo chiesti ieri su queste stesse colonne, in un editoriale-manifesto che ha segnato un cambio di paradigma (leggi qui) e che ha riscosso una condivisione di visione, soprattutto tra la gente di questo territorio che attende – da sempre – le risposte giuste da chi deve asusmerle. Una domanda, quella che ci siamo posti ieri, che oggi, improvvisamente, non è più accademica. Perché non è solo la percezione a essere cambiata: è la geografia funzionale del Sud che si sta riallineando rapidamente.
Con il completamento entro il 2027 della SS106 Sibari–Roseto, con il raddoppio ferroviario della Galleria Santomarco e con il porto di Corigliano-Rossano che può e deve entrare in una fase di potenziamento commerciale vero, la Sibaritide non è più un territorio “da raggiungere”. Può letteralmente diventare il punto naturale di intersezione tra Tirreno, Jonio e Adriatico. Non un’aspirazione, ma un fatto in costruzione. Ed è esattamente per questo che l’aeroporto non è più una bandiera identitaria — ma diventa un pezzo mancante di un sistema che sta già emergendo.
Non più un’illusione locale: esiste un fronte istituzionale che si sta compattando
In meno di dieci giorni tre voci istituzionali diverse — e tutt’altro che sovrapponibili — hanno affermato la stessa tesi con parole differenti, ma con la medesima lucidità strategica. Il sindaco di Trebisacce Franco Mundo ha messo sul tavolo la prima verità scomoda: «se l’aeroporto di Crotone non regge nel medio periodo, Sibari deve essere pronta ad essere operativa» non per sostituire, ma per garantire equilibrio territoriale. Quindi zero fantasie: nessuno vuole la chiusura del Sant’Anna ma, diversamente, deve esserci un’alternativa valida. Poi c’è stata la presa di posizione forte del consigliere regionale Orlandino Greco che, alla sua prima uscita da neo eletto, ha aggiunto un principio decisivo: «l’aeroporto della Sibaritide non è una guerra contro nessuno, ma una risposta naturale al dovere di connettere la Calabria ionica al mondo». Oggi, a completare questo coro di voci – trasversali e diverse - interviene con una forza ancora più sistemica Antonio Uva, consigliere comunale di Corigliano-Rossano e presidente della Commissione speciale sull’Autonomia e per la nuova Provincia della Sibaritide-Pollino. E il suo ingresso nella discussione segna un punto di non ritorno. Perché è di fatto rappresenta una voce istituzionale della città capofila di questo territorio.
Uva: «Non chiediamo un favore. Pretendiamo coerenza con la geografia e con il futuro»
«Non stiamo chiedendo privilegi, né compensazioni. Chiediamo coerenza. La Sibaritide-Pollino è destinata a diventare — per infrastruttura e posizione — il nuovo istmo del Mezzogiorno. Nel raggio di un’ora, qui si incroceranno tutte le dorsali strategiche: tirrenica, ionica, adriatica. È lo Stato che deve farsi trovare pronto» — afferma Uva che poi sgombra il campo dall’equivoco che per vent’anni ha avvelenato la questione: «Un aeroporto qui non toglie nulla a nessuno. Non è contro Crotone, né contro Lamezia. È un’infrastruttura complementare. È ciò che consente alla Calabria di non essere più monca sul lato ionico».
E la chiusura è netta, quasi un’assunzione di responsabilità su quello che sarà (o dovrà essere) il futuro di questo territorio: «O si continua a raccontare la Calabria come periferia di qualcos’altro, o si riconosce che qui sta nascendo il nuovo baricentro produttivo e logistico del Sud. Noi non accettiamo più che questa possibile centralità venga ignorata».
Da battaglia identitaria a scelta di sistema nazionale
Questo è il passaggio decisivo: la Sibaritide non sta più chiedendo visibilità, ma funzione. Non un risarcimento, ma un riconoscimento di una condizione strutturale. Non un “sogno di territorio”, ma la necessità di concludere una trasformazione già in atto.
È qui — nell’incrocio reale tra opere strategiche, portualità ed export agroalimentare — che la domanda finale cambia completamente natura: non è più “se” ci sarà un aeroporto, ma se l’Italia intende riconoscere, o ignorare, il suo nuovo istmo naturale nel cuore della Sibaritide.
Perché — e questa volta non è retorica — una finestra si è aperta e non si può non tenerne conto. Adesso tocca alla politica locale, regionale e nazionale scegliere se dare forza ad un baricentro strategico prima ancora che territoriale. (immagine in copertina generata con AI)