La festa non basta, servono infrastrutture per far diventare Sibari il cuore dell’agroalimentare del Sud
Dal Festival della Clementina IGP di Calabria un messaggio chiaro rimasto, però, ai margini: eccellenze e qualità non bastano più. Senza una piattaforma logistica e una visione comune, la Sibaritide resterà un gigante agricolo dai piedi d’argilla
CORIGLIANO-ROSSANO — È stata una festa di profumi e orgoglio identitario, ma anche un’occasione, forse fortuita (sicuramente non prevista nelle corde degli organizzatori) per dire che l’agricoltura non vive di folclore. Dal secondo Festival della Clementina IGP di Calabria, svoltosi lo scorso fine settimana, arriva un messaggio che travalica la celebrazione: la Sibaritide ha tutto per essere il cuore logistico dell’agroalimentare del Sud, ma ancora le mancano le gambe per correre.
Lo sanno bene i produttori, da quelli che lavorano in forma individuale per finire alle grandi organizzazioni, che si trovano a dover fare i conti con la difficoltà oggettiva della carenza di infrastrutture.
«Siamo la capitale delle Clementine IGP di Calabria — spiega Maria Grazia Minisci, presidente di Confagricoltura Cosenza e componente del CdA del Consorzio Clementine IGP — ma non riusciamo a sfruttare fino in fondo il valore che produciamo. Paghiamo l’isolamento geografico e i costi di trasporto, mille chilometri ci separano dai mercati principali. Serve una piattaforma del freddo e un vero hub intermodale nella Piana di Sibari. Solo così le nostre eccellenze potranno arrivare sui mercati europei in tempo e in condizioni migliori».
Un’analisi lucida, condivisa da Luigi Bianchi, executive manager di Macfrut, che rilancia sulla dimensione sistemica: «Qui c’è una concentrazione di prodotti ortofrutticoli unica. Ma la forza arriverà solo se le imprese impareranno a fare rete. L’unione crea economie di scala, riduce costi e dà peso contrattuale nella grande distribuzione. Un hub agroalimentare nel Mezzogiorno con epicentro nella Sibaritide non è un sogno, ma una necessità». E questo non solo perché fra qualche mese, con l'ultimazione del terzo Megalotto, Sibari diventerà l'istmo trasportistico su gomma del Meridione ma anche perché la Piana di Sibari è crocevia tra il sud della nostra regione, la Campania, la Basilicata e la Puglia, carica di ogni potenzialità sostanzialmente non sfruttata. E in questo, anche l'idea di un aeroporto cargo non è più una boutade - come la vuole fare intendere qualcuno - ma la necessità costante per chiudere questo anello commerciale.
Per Mario Schiano Lo Moriello, analista Ismea, la Sibaritide ha tutte le carte in regola per diventare progetto di interesse nazionale: «La competitività globale impone un salto culturale. Servono imprese che si aggregano e istituzioni che accompagnino il cambiamento. Il Festival è un piccolo passo, ma può essere l’inizio di un percorso reale».
Un territorio che cresce non può crescere solo nel racconto, ma nei numeri: Nicola Cilento, presidente OP COAB, ha ricordato, infatti, che «questa è una terra che ha fatto la storia dell’agricoltura calabrese. Ora dobbiamo qualificare di più il prodotto e difendere la denominazione». Natale Gallo, imprenditore agrumicolo, aggiunge: «Abbiamo il miglior clementino, ma il clima e i mercati cambiano: serve una strategia comune, non più solitaria».
Dietro i sorrisi e gli stand del festival, la Sibaritide lancia dunque un segnale politico: serve un’infrastruttura reale, non simbolica, capace di collegare la produzione con il mondo.
Lo ribadiamo: un porto efficiente, un nodo ferroviario operativo, una piastra logistica con celle del freddo e, nel medio periodo, un hub merci aeroportuale: solo così la Piana di Sibari potrà smettere di essere un magazzino di eccellenze dimenticate e diventare la centrale del valore agroalimentare del Sud Italia.