Porto di Corigliano, nel 2024 una timida crescita che non serve a nulla
Lo scorso anno si è chiuso in positivo, ma senza una strategia (e senza un Piano regolatore portuale) lo scalo resta un gigante incompiuto. L’addio di Baker Hughes peserà per sempre come un macigno sul futuro dello scalo e del territorio

CORIGLIANO-ROSSANO - Il porto di Corigliano-Rossano sembra vivere una doppia vita. Da un lato, i numeri del 2024 raccontano una storia positiva: 361 mila tonnellate di merci movimentate, tutte rinfuse solide, con una crescita del 21,6% rispetto all’anno precedente. Dall’altro lato, però, quei numeri non bastano a mascherare l’assenza di una vera direzione, di una prospettiva che possa trasformare lo scalo in ciò che era stato pensato: una porta industriale e commerciale per lo Jonio. Ma, soprattutto, dicono che - nonostante l'aumento delle movimentazioni - lo scalo della Sibaritide non regge minimamente la concorrenza con nessuno degli altri scali del bacino orientale del Mediterraneo.
Sessantacinque navi hanno fatto scalo nel 2024, scaricando soprattutto minerali, cereali e materiali da costruzione. Una manciata di traffici che, pur in aumento, collocano Corigliano su un gradino marginale rispetto ai grandi porti dell’Adriatico e dello Jonio: Trieste, Ravenna, Venezia, Taranto, Ancona, Bari, Brindisi. Qui si misurano volumi da milioni, quando non decine di milioni di tonnellate. Corigliano, con i suoi numeri, resta una goccia nel deserto.
Eppure l’infrastruttura c’è. Le banchine, i fondali, le aree retroportuali sono state pensate per un porto polivalente, capace di ospitare container, Ro-Ro, passeggeri. Ma oggi, di tutto questo, restano solo i disegni sulla carta ingiallita degli anni '70. La grande darsena sibarita, infatti, resta ancora appesa alle attese per un nuovo Piano regolatore portuale che dovrebbe ridisegnare le prospettive. Anche se, alle latitudini di Corigliano-Rossano, prima che un piano regolatore servirebbe un reset culturale e intellettuale sulla percezione della produttività di un porto.
L’occasione persa
La storia recente ha un nome preciso: Baker Hughes. L’arrivo del colosso americano dell’energia avrebbe potuto segnare la svolta, legando lo scalo a una filiera industriale stabile, di qualità e generando ricadute occupazionali importanti. Invece, nell’autunno 2024, la rinuncia definitiva. Anzi, sarebbe più opportuno parlare di "cacciata" i cui responsabili sono stati, in misure diverse, tutta la politica locale e l'inerzia popolare che, ancora una volta, ha aspettato che tutto gli passasse sopra la testa senza muovere un dito. Uno schiaffo non solo al porto, ma all’intero territorio.
Così, quella che poteva essere la nascita di un nuovo polo strategico - che oggi sta facendo le fortune del Porto di Crotone - si è trasformata nell’ennesima occasione mancata. E l’agonia di una struttura sottoutilizzata continua.
Il 2025 tra alti e bassi
Il primo semestre del 2025 sembra, addirittura, indicare una leggera flessione dei volumi rispetto al 2024. Ma non tutto è negativo. Negli ultimi tempi, infatti, si nota più movimento: l’Autorità Portuale, che sulle sponde joniche ha come suo uomo di riferimento il responsabile Lucio D'Amore, ha ridato fiducia all’impresa che opera sullo scalo, che finalmente non si sente più lasciata sola.
E soprattutto, è cresciuta la domanda di materiali per il cementificio di Castrovillari. Protagonista di questa fase è la loppa d’altoforno, un sottoprodotto della fusione della ghisa, simile a una sabbia granulare. Una volta raffreddata, diventa materia prima preziosa per il cemento, perché ne aumenta la resistenza e riduce il consumo energetico.
È un traffico che oggi tiene vivo il porto, compensando i mesi primaverili di magra assoluta. Ma si tratta di una domanda contingente, non di una linea di sviluppo strutturale.
Un’infrastruttura sospesa
Insomma, il porto di Corigliano-Rossano continua così a oscillare tra speranza e rassegnazione. Cresce un po’, si muove, ma non decolla. Non ha linee regolari, non ha poli industriali forti a cui agganciarsi, non ha ancora trovato la sua identità. Ed è questa la grande contraddizione: avere a disposizione un’infrastruttura moderna, polivalente, potenzialmente strategica, e non riuscire a darle un’anima.
Senza un progetto chiaro, senza investimenti veri e senza il coraggio di attrarre industrie e traffici, il rischio è che Corigliano-Rossano resti sempre così: un porto che c’è, ma che non conta: una grande passerella dove riversare attese e promesse. Il campo più amato dalla politica!