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Calabria del nord-est, la classe operaia va all’inferno: qui c’è più lavoro ma stipendi da fame

3 minuti di lettura

CORIGLIANO-ROSSANO – La Calabria del nord-est è il territorio più ricco della regione; la fatidica «polpa da spolpare». È vero, anzi, verissimo. Il problema, però, è che la ricchezza risiede solo in pochi mentre il resto della popolazione è praticamente alla fame. I dati che restituisce Istat sulla qualità della vita sono impietosi e, per certi versi, anche allarmanti: in provincia, Corigliano-Rossano è la città che vive di minore benessere rispetto a Cosenza. Ma se questo potrebbe essere un dato lapalissiano, scontato come l’acqua calda, forse è più curioso sapere che i cittadini della terza città della Calabria, sul piano economico, stanno peggio anche rispetto a quelli che vivono a Paola e Castrovillari.

Il dramma, per la città jonica, non sembra essere legato all’occupazione. Anzi. Come si evince dalla tabella in basso Co-Ro è la città, rispetto ai quattro centri presi come riferimento (A.U. Cosenza-Rende-Castrolibero, Corigliano-Rossano, Castrovillari e Paola), dove si sviluppa più lavoro: il tasso di occupazione è al 34,81% (il più alto tra i 4) e il tasso di disoccupazione è al 16,33% (il più bassi tra i 4). Anche la disoccupazione giovanile è al minimo (37.12% su una media provinciale che sfiora il 50%).

 

I numeri occupazionali

Ma in realtà, quante persone lavorano rispetto alla popolazione residente? Il riferimento è sempre l’area urbana Cosenza-Rende-Castrolibero. Qui, su una popolazione residente di 106.937 abitanti hanno un posto di lavoro 36.279 persone (34%). A Corigliano-Rossano, su 74.848 residenti ne lavorano 26.061 (34,8%), mentre Castrovillari e Paola hanno rispettivamente il 32,37% ed il 30,15% di residenti occupati. Insomma, una media abbastanza bilanciata.

 

Il reddito pro capite

È andando, però, ad analizzare il costo effettivo del lavoro e l’ambito di occupazione che vengono fuori dati completamente altalenanti, con un divario estremo. Anche inaspettato. L’AU CS-Rende-Castrolibero gode di un reddito netto pro capite annuo di 12.330,94 €, subito dietro c’è Castrovillari con 10.047,48 €, poi Paola con 9.285,08 € e solo ultima, con un divario importante, è Corigliano-Rossano con 8.578,70 € netti l’anno per ogni cittadino.

Da cosa sono determinate queste cifre? Ovviamente dalla tipologia di lavoro. Cosenza-Rende-Castrolibero così come Castrovillari e Paola, fondano il loro reddito sul lavoro offerto dalla Pubblica Amministrazione: quasi un cittadino su due (il 42,84%) dell’area urbana bruzia lavora nella PA; a Paola e Castrovillari la percentuale si abbassa rispettivamente al 41% e al 37% mentre a Corigliano-Rossano si “inabissa” al 24%. Se a questi dati, poi, si aggiunge anche l’occupazione nel settore privato (sanità privata, industria, terziario e quaternario) dove la qualità degli stipendi è più alta, il divario cresce ancora di più. Mentre Corigliano-Rossano fa la “voce grossa” (si fa per dire) solo nel settore dell’agricoltura e della pesca, dove gli stipendi sono quelli più bassi in assoluto.

 

A Corigliano-Rossano tanto lavoro ma di bassa qualità

Insomma, il dato cristallizzato da Istat è tutt’altro che confortante. Quello che si vive nella terza città della Calabria è un benessere apparente, concentrato – dicevamo – solo in una parte minoritaria della popolazione che accentua molto il divario tra ricchezza e povertà. Ed è proprio in questa condizione di disparità che si creano gli abissi sociali che generano vuoti di partecipazione, assenza di consapevolezza, armano il ricatto ed il degradante (e pauroso) allontanamento dalla vita democratica.

Nella Sibaritide vive, di fatto, un popolo di braccianti a basso costo.

 

L’opportunità della fusione

Per invertire questa rotta serve un investimento concreto dell’apparato pubblico affinché porti servizi e lavoro retribuito dignitosamente ma soprattutto serve aprire le porte ad una nuova stagione di investimenti privati che portino sul territorio occupazione qualificata. Anche perché, la lettura di questi dati, conferma che l’agricoltura, anche quella d’eccellenza, da sola non basta per fare il salto di qualità. La fusione di Corigliano-Rossano ha posto le basi per una programmazione organica nuova che adesso va sfruttata al massimo per poter portare il livello di qualità della vita almeno a quelli che sono gli standard provinciali.

Gli investimenti, pubblici e privati, che oggi può attrarre una grande città come Co-Ro vanno sfruttati tutti e a pieno anche a costo di dover cedere spazi di sostenibilità. Perché non solo creano nuova occupazione ma generano anche dignità: il miliardo di euro per la nuova Statale 106 Sibari-Co-Ro, i quasi 300 milioni di euro per ultimare il nuovo ospedale, parte dei 34 milioni di euro per l’elettrificazione della ferrovia jonica e i 45 milioni dei progetti Pinqua saranno totalmente investiti nel Comune di Corigliano-Rossano, una cifra abnorme che genererà occupazione ma soprattutto lavoro e figure professionali qualificate. Non solo. C’è da portare a compimento la vertenza per la riapertura di presidi strategici come il Tribunale, che genera altra economia; c’è da definire, ancora, la vertenza sanità con un costruendo ospedale che dovrà potenziare l’offerta per la salute e non essere la sintesi del sistema precario che si vive oggi. C’è da mettere in cantiere la rivendicazione di un polo universitario che metta a frutto le vocazioni naturali di questo territorio, dall’agricoltura al turismo, e offra alla comunità scientifica il prestigioso patrimonio artistico e culturale che unicum su scala globale. C’è da aprire mente e occhi sull’industria sostenibile per dare un senso ad infrastrutture di questo territorio che vivono d’inedia da oltre 50 anni; la vicenda dell’insediamento Nuovo Pignone BH nel Porto è una vertenza da definire al più presto. E tutto questo, adesso, è possibile rivendicarlo solo e soltanto grazie a quella grande intuizione che è stata la fusione. La speranza è che l’immagine di una qualità della vita oggettivamente scadente oggi faccia risvegliare la popolazione dal torpore. L’alternativa è la desertificazione sociale.

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.