Americani pazzi per la soppressata rossanese… che non si trova da nessuna parte!
Il curioso caso di un facoltoso turista statunitense ritornato per la seconda volta a Co-Ro solo per assaggiare il salume tipico. Il food rimane fondamentale attrattore turistico ma nella Calabria del nord-est sono in pochi ad averlo capito
CORIGLIANO-ROSSANO – Già li sento quelli che leggendo il titolo di questo articolo hanno detto: Suppressata? Quanta’ni vo’! È vero ne abbiamo scorte in abbondanza nei frigoriferi e nelle dispense, sottovuoto, all’olio, immerse nella sugna e quasi sempre non manca mai sulle tavole di ogni buon abitante di questo territorio. Il problema vero, però, è che ce la teniamo così stretta e celata – la soppressata - da non renderci conto che questo particolare salume calabrese, che ha declinazioni nella manifattura e nei sapori per quanti sono i paesi di questa regione, è una delle cose più ricercate al mondo. Vezzo per i palati più esigenti. Tanto buona e gustosa che ci sono persone disposte a muoversi da un capo all’altro del mondo solo per venire qui, in Calabria, a Corigliano-Rossano, per mangiarne un po’.
È il caso di un facoltoso turista statunitense, arrivato a Corigliano-Rossano nell’ultimo ponte del 25 aprile, grazie ad uno dei tanti tour guidati proposti dall’Agenzia viaggi Andirivieni Travel, e che aveva già visitato i centri storici di Rossano e Corigliano nel 2018. Non gli era bastata quella visita. È voluto ritornare tra le bellezze della nostra città solo perché il ricordo del Castello Ducale, piuttosto che del Patire o del San Marco lo ha legato indissolubilmente al gusto della soppressata rossanese. Galeotto fu l’antipasto de La Bizantina in quell’estate di cinque anni fa in cui il palato del visitatore d’oltreoceano si incontrò con quell’impasto di carne, spezie e pepe nero. Un incontro di amorosi sensi che si è ripetuto nei giorni scorsi, con travolgente passione sulle stesse tavole del noto locale di via San Marco.
Ora, romanzo e storia d’amore a parte, resta un dato inconfutabile: la capacità di questo territorio di fare turismo attraverso la valorizzazione delle produzioni locali è pari allo zero. Anzi, è un concetto totalmente estraneo. Perché nella credenza comune a queste latitudini, il turista è chi gira per i monumenti, fa quattro foto, compra qualche souvenir, consuma qualcosa e va via. E già per arrivare a questo grado di consapevolezza ci sono voluti decenni! Non è così. Meglio, non è solo questo.
Qualche tempo fa, sempre in occasione di una visita di turisti americani, ci siamo posti il perché la Calabria, nella percezione globale, sia conosciuta solo per Tropea, la Cipolla Rossa e la ‘Nduja. La risposta a quel perché la troviamo, oggi e inconsapevolmente, nell’esperienza illuminante di questo turista statunitense che solo grazie alla sua esperienza diretta ha scoperto per caso un’altra tipicità calabrese. Ecco, è quell’elemento fortuito e casuale che in una buona strategia di marketing non dovrebbe esistere. Se la soppressata funziona, come più in generale funziona il food calabrese in ogni suo aspetto (dagli insaccati all’olio d’oliva, dal vino ai formaggi, dagli agrumi alla liquirizia) sarebbe opportuno che il cibo facesse il suo ruolo: essere principale attrattore turistico per questo territorio. Ma dato che il cibo è inanimato e non può “vendersi” da solo, sono gli imprenditori e gli enti turistici a doverlo fare!
La soppressata (quella vera) per ora è una grande caccia al tesoro: non si trova da nessuna parte!