Tumori a Longobucco, si apre un nuovo fronte: «Opportune le indagini sulla concentrazione di gas radioattivi»
La causa della grande incidenza di patologie tumorali gravi e aggressive nel territorio della Valle del Trionto potrebbe derivare anche da emissioni naturali di gas nocivi quali il Radon. Ce lo spiega la geologa longobucchese Bruna Ballaro
LONGOBUCCO - Dopo l'allarme della pediatra Straface, originaria di Longobucco, affinché si faccia luce sulle cause che dal 2019 hanno generato la morte di tre concittadini affetti da un raro tumore al cervello - il glioblastoma - apprendiamo dalla geologa Bruna Ballaro, anche lei di origine longobucchese, un'altra possibile causa che non sia l'eventuale presenza di rifiuti tossici.
L'esperta pone l'accento su una probabile correlazione tra patologie oncologiche e radiazioni naturali: «La geologia del territorio - in particolare la composizione litologica dei graniti silani - rende compatibile l'ipotesi di materiali radioattivi naturali come il radon, nelle rocce e nelle acque di percolazione, che - prosegue - in concentrazioni elevate potrebbe dare effetti negativi sulla salute umana».
Pertanto, vista la grande incidenza di glioblastomi a Longobucco, secondo Ballaro: «Urgerebbe approfondire con opportune indagini l'effettiva concentrazione di gas radioattivi naturali e possibili impatti sulla salute. Solo indagini strumentali possono dare risposte certe sulla presenza e quantità di eventuali sostanze nocive, siano esse naturali o meno».
«Mi auguro - conclude congedandosi con noi - che questo argomento venga approfondito seriamente su basi scientifiche e non supposizioni».
Sappiamo dell'adesione di diversi comuni calabresi alla campagna per il monitoraggio del Radon, negli edifici pubblici e nelle case di privati cittadini aderenti all'iniziativa, indetta dall'Arpacal (Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente della Calabria). Proprio da quest'ultima scopriamo che il radon proviene principalmente dal suolo, si accumula nei luoghi chiusi.
Non solo, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, attraverso l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha valutato la cancerogenicità del radon fin dal 1988 e lo ha inserito nel Gruppo 1: “agenti in grado di indurre il tumore polmonare". Stime consolidate da decenni a livello mondiale attribuiscono al Radon la seconda causa di tumore polmonare dopo il fumo di tabacco con un rischio proporzionale alla concentrazione. In Italia si stima che, su circa 30.000 casi di tumore polmonare che si registrano ogni anno, oltre 3.000 siano da attribuire al radon, la maggior parte dei quali tra fumatori ed ex-fumatori.
Tuttavia su un estratto di PubMed – servizio di ricerca gratuito di letteratura scientifica biomedica – leggiamo: «Nel complesso, le prove disponibili non supportano la conclusione che sia stata stabilita un’associazione casuale tra l’esposizione a raggi Randon e il rischio di neoplasie non polmonari principalmente a causa del numero limitato dell’eterogeneità degli studi esistenti. Per confermare questo risultato dovrebbe essere necessaria un’analisi statistica, anche se ora non è applicabile per i pochi studi disponibili».
La situazione, dunque, è più complessa e laboriosa di quanto ci aspettassimo.