«I castagni di Cozzo del Pesco devono entrare nel Parco della Sila»
Raccogliamo l’opinione di Fabio Menin, già presidente del WWF Calabria, rispetto a uno dei patrimoni ambientali più importanti e di valore custoditi nel territorio di Corigliano-Rossano
CORIGLIANO-ROSSANO – Il Corsivo di Flaviano Lavia pubblicato sull’Eco dello Jonio lo scorso sabato 22 maggio (che vi invitiamo a leggere qui) ha riaperto il dibattitto su uno dei gioielli del patrimonio ambientale e naturalistico del territorio di Corigliano-Rossano: i “giganti” di Cozzo del Pesco.
Dibattito, opinioni e sane provocazioni, come quella di Fabio Menin, già presidente del WWF Calabria, che oggi raccogliamo e vi proponiamo, inserendola nell’alveo del confronto su quello che potrebbe rappresentare il verdeggiante castagneto sulle alture della Sila Greca e che oggi, invece, rimane soltanto uno dei tanti patrimoni inespressi.
Gent.mo direttore,
mi permetto di farle i complimenti per la pubblicazione di articoli come quello di Flaviano Lavia sulla biodiversità e l’importanza della sua tutela da parte dell’uomo. Mi permetto anche di ricordare che l’istituzione dell’Oasi WWF Castagni di Cozzo del pesco, poi denominata Giganti della Sila greca, venne realizzata per iniziativa del WWF Sila Greca in collaborazione col WWF Calabria grazie ad una delibera del consiglio comunale di Rossano col pieno appoggio dell’amministrazione comunale di Rossano. Questo avvenne dopo le accurate ricognizioni effettuate dal sottoscritto e dal presidente del WWF Calabria avv. Francesco Bevilacqua, il più grande naturalista vivente calabrese. Ricordo anche l’intervento positivo e costruttivo della dott.ssa Alessandra Mazzei che si premurò, quando era assessore al comune di Rossano, di segnalare con opportuni cartelli stradali la presenza di questa importante realtà naturalistica. Ricordo anche che tra il 1998 e il 2014 la sezione del WWF riuscì ad organizzare visite guidate a questa oasi per un totale di circa ventitremila visitatori da tutta Europa, accompagnati a vedere questa ed altre belle realtà rossanesi come la chiesa del Patire e la liquirizia Amarelli, il centro storico ed anche indirizzati a degustare i nostri prodotti tipici. E come dimenticare la visita della società botanica mondiale proprio a questi alberi giganteschi organizzata nel 2000 proprio dal WWF.
Detto questo, mi preme sottolineare quale è la effettiva situazione dei Giganti di Cozzo del Pesco, perché nell’interessante articolo di Flaviano La via, che ho apprezzato, accanto a notizie preziose ci sono alcuni dettagli che andrebbero meglio chiariti.
Cominciamo col dire che questi 101 alberi monumentali non sono spontanei, ma impiantati con molta probabilità da popolazioni montane rossanesi per esigenze alimentari e anche di allevamento di animali che al pascolo brado si cibano delle castagne. La biodiversità che essi stimolano nel querceto misto e nelle pinete di Pino Laricio, pinus nigra varietà calabrica, da cui sono circondati riguarda anche il fatto che essendo alberi stramaturi permettono la presenza di numerose specie spontanee, nel senso che il suolo raggiunge un ottimale equilibrio, grazie anche alla degradazione di rami stramaturi e questo favorisce la presenza di molte specie del sottobosco, ma soprattutto di molti animali selvatici, alcuni dei quali li ha ricordati proprio Flaviano Lavia. Ecco il motivo per cui alcuni anni fa ci opponemmo come WWF al taglio di alberi secolari nella zona (soprattutto querce): l’albero secolare è il miglior investimento per la continuità del bosco, dove ci sono alberi secolari il bosco raggiunge la sua maturità e la sua piena biodiversità.
Va aggiunto un dato tecnico sull’importanza di questi castagni: risulta dalle indagini del WWF Italia che questo gruppo di castagni sia quasi unico nel suo genere. In Italia non esiste un gruppo così numeroso di castagni monumentali tutti concentrati insieme, questo perché sembra che la specie di Castanea sativa quando invecchia preferisca il distanziamento da altri esemplari molto maturi. Cioè nei castagneti gli esemplari giganti si distanziano almeno di 40-50 metri. In Italia esiste solo un altro caso nella montagna di Pistoia di una trentina di castagni monumentali tutti vicini. La forza di questi castagni sta proprio nel fatto di essere un gruppo sociale che collabora, e con molta probabilità ci sono radici anastomizzate cioè radici che si sono unite tra alberi diversi. Ne è prova indiretta il fatto che le chiome dei castagni si intreccino e accettino di dividersi la luce insieme, cioè sono un gruppo sociale.
Detto questo mi preme sottolineare che ha ragione Flaviano Lavia a sottolineare il fatto che la douglasia, o abete douglas che cresce ad altitudini più elevate è un impianto errato nel contesto boschivo locale, perché la forestale, all’epoca AFOR, nell’opera meritoria di rimboschimento effettuata tra gli anni cinquanta e soprattutto sessanta, settanta, non stava a guardare per il sottile quali specie fossero autoctone e accanto ai numerosi Pini larici impiantati lì e in tutta la Sila con ottima scelta, nel bosco del Patire e nel querceto fu un errore impiantare anche questi abeti. Ma ritengo che il pericolo maggiore per questi Alberi non sia affatto la presenza dell’abete, e ciò che mi conforta, infatti, è il dato che l’agrifoglio (secondo gli studiosi qui al margine del suo areale), specie spontanea indicativa di ottima salute del bosco, sia così ben distribuito intorno ai castagni e raggiunga anche elevate altezze, per essere un arbusto.
Questi alberi monumentali, infatti, hanno come minimo sei sette secoli di vetustà, ed hanno superato molte prove nel tempo. Non ci sono segni reali che la presenza della douglasia abbia compromesso il sottobosco di questo bosco classificato come querceto misto dall’università della Calabria nell’ambito di un passaggio a pineta, cioè a un bosco di transizione. In ogni caso è giustissimo segnalare che questi abeti andavano impiantati perlomeno a 1200 metri, cioè non qui dove certamente fanno competizione coni pini e le querce e indubbiamente anche con i castagni. I pericoli maggiori per i nostri castagni sono a mio avviso i seguenti:
- Lo stato di totale abbandono in cui versa la montagna, con presenza di rifiuti incontrollata, con piccoli fenomeni di erosione diffusi (anche per la sbriciolatura frequente dei terreni granodioritici, compattati a bassa temperatura a differenza dei graniti rossicci adiacenti);
- Gli alberi presentano diversi problemi fisici e strutturali (con presenza di diversi rami molto grandi che rischiano di cadere) e andrebbe organizzata una potatura selettiva con mezzi idonei, anche se su questo punto alcuni studiosi ritengono che tutto sommato sia meglio lasciare alla natura il suo corso. O perlomeno andrebbe realizzata una convenzione tra comune di Corigliano-Rossano e qualche università specializzata nella cura degli alberi secolari per stabilire esattamente quali interventi possano essere realmente utili alla sopravvivenza di questi bellissimi alberi.
In ogni caso noto con profondo dispiacere che da quando il WWF non ha più in gestione questa oasi, purtroppo, il degrado e l’abbandono di questa area sono aumentati, mentre il flusso di visitatori che prima c’era oggi è finito. Al contrario si registra invece la presenza di cacciatori, che si dicono ambientalisti e che invece hanno ricevuto l’incarico di gestire questa area ove organizzano battute di caccia al cinghiale. Quindi la cosa più giusta sarebbe affidare questa area non a cacciatori travestiti da ambientalisti, ma ad organizzazioni ambientaliste vere che non abbiano interessi personali, ma si dedichino con passione alla gestione naturalistica e turistica di questa bella oasi. Fino a che la salute me lo ha consentito nell’ambito della sezione Sila greca del WWF ho portato in visita migliaia di persone lì, con l’aiuto dei volontari del WWF; ora se le istituzioni locali e regionali non sono in grado di trovare una gestione efficiente, si decidessero a far entrare questa area nel parco della Sila. Di ciò Corigliano-Rossano ne trarrebbe certamente grande utilità nella sua immagine turistica.
Gentilissimo direttore la ringrazio per l’attenzione che ha voluto riservare al tema.
Prof. Fabio Menin già presidente WWF Calabria