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Per macchie di memoria: Ponzio Pilato

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Una gran fetta della mia biblioteca giace irraggiungibile nella casetta che ho a Firenze. I libri di cui avrei bisogno per dare un corpo a questo articolo sono rimasti là. Lavorerò a memoria. Ecco il perché del titolo. E scriverò tremando per l’enormità del tema.

Pilato: perciò anche Gesù. È quasi ormai canonico, quando si parla di Pilato, prendere abbrivio da Hans Kelsen. Fu Kelsen il teorico del diritto nella sua purezza e il freddo ma intenso fautore di una democrazia che, pur con il triste ma necessario limite del dualismo tra governanti e governati, è la sola a garantire libertà all’individuo e dispiegata ragionevolezza al gruppo. Tratta di Pilato ne I fondamenti della democrazia. Egli è per lui lo schietto e sereno democratico. Non trova colpe in Gesù, e ne rimette la salvezza alla scelta del popolo. Gli ebrei gli preferiscono Barabba. Solo perché figlio di Dio, Gesù sa di essere voce della Verità e Verità egli stesso. Pilato non sa nemmeno che cosa sia la Verità. A un Gesù che asserisce di esserne la voce risponde con una domanda sarcastica e amara: Quid est Veritas? (“Che cosa è la Verità?”). Kelsen chiude notando che la condanna di Gesù vale come argomento contro la democrazia solo per chi è convinto che Gesù fosse il figlio di Dio. Se solo l’adamantina convinzione di possedere il vero giustifica il disegno di imporre con lacrime e sangue una fede e una strutturazione politica, il dubbio solo preserva dall’autocrazia e dall’autoritarismo.

Lasciamo adesso Kelsen. La risposta di Pilato tortura i cuori e i secoli. Rincorriamo pertanto chi la pronunciò lungo i viali del tempo,soffermandoci un poco su due creazioni letterarie: Il procuratore della Giudea di Anatole France e Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov.

Nel racconto di France, Pilato, vecchio e ricco, si è ritirato (in Sicilia?) in una tenuta di campagna. Riceve la visita di Lucio Lamia, suo amico nei tempi in cui Pilato rappresentava Roma in Giudea. Ricordano cose e persone di quei giorni, fino a che Lamia, seguendo con la mente la voluttuosa immagine di una cortigiana divenuta seguace di un predicatore convinto di essere il figlio Dio, realizza ch’era stato Pilato stesso a sancirne la condanna alla croce, e gli chiede se ricordi di lui. “No”, risponde Pilato. Finiva così il libro. Rivivo il gelo che provai.

La superba, rigogliosa, luciferina e insieme cordialissima orchestrazione bulgakòvica racchiude un romanzo nel romanzo. Pilato ne è il protagonista. Perennemente torturato dall’emicrania e molto affezionato al proprio cane e forse solo ad esso, interroga un Gesù quasi soavemente ironico, ingenuo e ultracosciente, che gli trapassa l’anima divinandone ogni pena, specie l’immensa solitudine. Da quello strano personaggio il procuratore della Giudea apprende verità bizzarre, quali l’unicità di Dio, la bontà di ogni uomo, la violenza consustanziale a ogni forma e a ogni atto di potere, l’immortalità come certezza. Gesù sarà condannato a morte, Pilato a un’inquietudine che lo accompagnerà per venti secoli nella forma di un’ansia nostalgica di tornare a incontrare quello strano Maestro, il solo che gli abbia detto il Vero, il solo che sia la Verità. Pilato sarà infine redento poiché Gesù avrà intercesso per lui e giacché (credo di ricordare bene) “tutto sarà giusto: per questo è costruito il mondo”.

Stringiamo il tutto in una noce, spero gonfia di frutto. Verità come fede, verità come constatazione, verità come progetto: già tre declinazioni di una unità, per ciò stesso, ottativa. La verità è passione per la verità. Esige il martirio. Umiltà, dubbio, metodo ne sono i mezzi e le condizioni necessarie. Il dubbio, dunque, non è nemico della verità. Suo nemico è l’errore, eterno figlio della fretta testarda. Pilato non fu frettoloso. Lo fu il Sinedrio, e la folla che scelse Barabba.

            Passione per la Verità, Passione della Verità, Passione del Cristo… Nell’imminenza della Pasqua scorsa m’era sortita dalla penna una lirica intitolata Pasqua 2020. È in tema con l’assunto. S’addice ai giorni che viviamo. La riporto.

Pasqua 2020: C’è una crepa nel corpo della terra. / Inghiotte corpi morti, e ce ne lascia, / beffarda, algide cifre. / È un numero che sale / come una smania o una marea cocciuta. / E tutto si fa piccolo / al montare del sangue. // C’è una crepa nell’anima di ognuno. / La ricolma un terrore che ribolle / come un fiume d’inferno. Convertire / il piombo fuso in oro che ingioielli / le nostre donne è il compito, speranza / e azione dal terrore. / Già si fa cuore l’intelletto, splende / già di sapienza la bontà. Tornare / nel corpo della madre per rinascere / corpi più vivi, corpi d’acqua e spirito. // È l’ora della Croce. / Chiodi e spine frantumano la carne / dell’uomo-Dio. / È l’ora che riassume tutti i palpiti / del tempo. Stringe in gola / un urlo vasto come un tuono, geme / della sua stessa onnipotenza l’ora, / l’ora che ci fu data per conoscere, / per amare e risorgere, fratelli.

In copertina: Particolare del Cristo davanti a Pilato, di Duccio di Buoninsegna

Ettore Marino
Autore: Ettore Marino

Lettore, se ne hai curiosità, sappi che Ettore Marino, arbërèsh di Vaccarizzo Albanese, è nato a Cosenza nel 1966; che ha collaborato e collabora con varie gazzette cartacee e digitali; che per Donzelli Editore è uscita, nel 2018, la sua "Storia del popolo albanese. Dalle origini ai giorni nostri"; che nel 2021 è diventata libro, per le Edizioni "ilfilorosso", una sua raccolta di liriche intitolata "Patibolo"; che nell’Aprile del 2022 ha pubblicato, per Rubbettino Editore, "Un quadrifoglio, verde tra le spine. Traduzioni da poeti italoalbanesi"; che ha scritto molte altre cose di cui va talora chiedendosi se resteranno sempre inedite; che è arcilieto di collaborare con L’Eco dello Jonio; che il Covid, di cui pure ha patito, non gli ha fatto dismettere l’uso del tabacco; che ignora quando e come morirà.