I vent’anni del Museo dell’Olio di Trebisacce: quando la memoria diventa cultura
A Trebisacce è stato celebrato il ventennale del primo Museo dell’Olio e della Civiltà Contadina. Tra conchiglie usate come orcioli e storie di terra e mare, la “coppamùmmola” diventa simbolo di un’identità che continua a brillare come olio nuovo
TREBISACCE - La “coppamùmmola” e il ventennale del primo Museo dell’Olio e della Civiltà Contadina in Calabria a Trebisacce
Trebisacce, 25 ottobre 2025. L’aria è di festa quieta: orgoglio e nostalgia si mescolano al profumo, letterale, dell’olio buono e delle cose fatte a mano.
Si celebra il ventennale del primo museo calabrese dedicato all’olio d’oliva e alla civiltà contadina, intitolato a Ludovico Noia. Secondo i dati locali, oltre ventimila visitatori in questi anni hanno risalito, a piedi o in auto, il dedalo di viuzze sospese tra cielo e mare per vedere cosa resta del mondo contadino, mentre i trattori diventano digitali e i figli dei contadini studiano marketing.
Qui l’olio più di essere solo condimento è una categoria dello spirito. Le sale odorano di ferro antico, legno unto, panni di lino. Colpisce la tenerezza concreta di oggetti che, fino a ieri, servivano a vivere: presse, orci, lampade, filtri, ferri da stiro a brace, fotografie; utensìli che chiedono la spiegazione di una guida dalle mani nodose.
Tra tutti, un oggetto rapisce il mio sguardo: la “coppamùmmola” (altrimenti detta cozzamùmmola). Il nome pare uscito da una fiaba marina. È una grande conchiglia, il nome mùmmola significa in dialetto orciolo: veniva usata a Trebisacce per prelevare l’olio: niente pipette né rubinetti industriali, ma un attrezzo nato dal mare e messo al servizio della terra. Ogni molitura riempiva quella conchiglia di luce verde smeraldo. Un gesto di simbiosi domestica: l’acqua che serve l’olio, il mare che aiuta la terra. Se esistesse un premio per la poesia degli oggetti utili, la coppamùmmola vincerebbe a mani basse.
Il presidente Salvatore Noia apre la cerimonia con un ringraziamento puntuale e affettuoso, costellato di nomi, ricordi, piccoli eroismi locali: «Siamo onorati… sembra ieri l’inaugurazione con la benedizione dell’amato don Ciccio Morano». In quella voce si sente una gratitudine rara, propria dei luoghi in cui istituzioni, comunità e parrocchia hanno ancora volti di famiglia.
A vent’anni dalla nascita, il museo è un punto fermo della costa ionica: un crocevia dove la memoria contadina s’intreccia con la ricerca di futuro. Noia snocciola collaborazioni e passaggi mediatici (da Passaggio a Rai 1 a Easy Driver, la Notte dei Musei, il premio giornalistico Il Pontile, i programmi europei Comenius IPSIA Norvegia e Gruntilvis, la partecipazione al film Don Chisciotte di Fabio Segatori, una visita di Vittorio Sgarbi). A un certo punto smetto di contare e penso: forse ogni museo dovrebbe essere così, organismo vivente che passa dalla didattica alla fiction, dal sociale al turismo. Non a caso, l’art. 4 dello statuto parla chiaro: l’associazione sostiene i più fragili del territorio con interventi mirati. Un olio umano, verrebbe da dire, come quello che il Buon Samaritano versò sulle ferite dell’uomo ferito per lenire e guarire.
Il sindaco Franco Mundo interviene con un saluto essenziale: richiama le radici, indica nella cultura una leva di sviluppo e ricorda i cantieri che stanno cambiando il paese; sottolinea la testarda passione per la terra, vero volano dell’economia locale.
La parte più viva arriva con la parola agli imprenditori del territorio. I produttori locali EVO, Capraro Rosa, Filardi Francesco, Gabriele Francesco, Giovazzini Emilia. È come se la Calabria antica e quella contemporanea si riconoscessero allo specchio. Poi segue il turno dei produttori olivicoli multifunzionali: Nigro Mattia, Adinolfi Luigi, Fornito Angela. Un giovane di Roseto Capo Spulico, rientrato dagli Stati Uniti, distilla essenze naturali con pazienza da alchimista: tra i suoi prodotti, un idrolato di foglie d’ulivo, quasi una preghiera liquida di clorofilla; sogna di tornare a coltivare rose nel paese che dalle rose prese il nome, per estrarne l’“assoluto”. L’azienda Santa Maria di Oriolo presenta l’amaro d’oliva “Ulivar”, un digestivo dove campagna e chimica ben fatta si stringono la mano. Fornito Cosmesi trasforma l’olio extravergine in creme e profumi: la Calabria si reinventa senza smentirsi.
E siccome ogni festa chiede dolcezza, la gelateria Barbarossa fa assaggiare un gelato all’olio extravergine: verde pallido, tessitura vellutata. Spiazzante e familiare insieme: come se l’olio avesse trovato un nuovo corpo, quello del dessert.
Durante la degustazione guidata dell’olio EVO, il dott. Salvatore Pace (assaggiatore ARSAC) annuncia buone prospettive per la campagna olearia: proiezioni che vedono la Calabria tra le prime regioni d’Italia. Ricorda inoltre il 19–20 dicembre a Catanzaro il primo Salone dell’Olio
“Sol Calabria”: possibile avvio di una nuova stagione di consapevolezza olearia, un “Vinitaly dell’olio” in chiave mediterranea.
Il museo, con vent’anni sulle spalle, è una capsula di memoria collettiva: studenti, turisti, contadini, giornalisti. Una recente mostra lo collega al Museo Archeologico di Sibari, dove alcuni reperti sono esposti in “Linfa. Essenze dalla terra”: la conferma che la cultura contadina non è folklore, ma conoscenza. Da Trebisacce è partita anche la spinta per il secondo museo dell’olio in Calabria, a Zagarise (Catanzaro): segno che anche la memoria può fare rete e generare effetto domino.
Camminando tra le sale, si percepisce un’energia discreta, un orgoglio sano. Questo museo è figlio di docenti, studiosi e cittadini che hanno deciso di non buttare via i segni della propria storia. In fondo è lo stesso gesto della coppamùmmola: prelevare con delicatezza la parte più limpida di ciò che siamo stati, per offrirla a chi viene dopo.
Non è un museo di cose, è un museo di gesti. La vecchia conchiglia non è un reperto, è un verbo: servire. Travasare saperi da chi ha fatto a chi farà, perché l’olio resti cultura prima che prodotto. Questo è l’impegno dei prossimi vent’anni: non nascondere in teca la memoria, ma metterla in circolo - tra scuola, impresa, tavola e comunità.