Tecniche innovative e dispositivi all'avanguardia: la cardiologia dello spoke di Co-Ro, un esempio di buona sanità
Un reparto d'eccellenza che si confronta con il resto del mondo e fa scuola. All'indomani del congresso "Cardio CoRo" abbiamo chiesto alla dirigente del reparto di Cardiologia, Silvana De Bonis, quanto lavoro è stato fatto e quali sfide la attendono
CORIGLIANO-ROSSANO – Sanità e diritto alla salute alle nostre latitudini. Una sanità, la nostra, che, nonostante persegua la triste regola dell’inefficienza, non manca di eccezioni. L’eccellenza di cui parliamo oggi riguarda il reparto di Cardiologia dello spoke di Corigliano-Rossano.
A farlo insieme a noi è la dirigente dell’unità operativa del reparto di Cardiologia dello spoke di Corigliano-Rossano, Silvana De Bonis, ospite all’Eco in Diretta, il talk della nostra testata condotto dal direttore Marco Lefosse.
Nel fine settimana scorso si è tenuto, a Corigliano-Rossano, un congresso dal titolo “Cardio CoRo”, che ha portato in città numerosi esperti e professionisti del settore. Un momento di approfondimento che è diventato una costante per il nostro territorio e che può trainare la città verso maggiori interessi legati agli studi sanitari.
«Il nostro congresso – afferma la dottoressa De Bonis - ha sicuramente portato una cultura cardiologica importante a Corigliano-Rossano. Al convegno sono intervenuti non solo ottimi relatori calabresi, ma anche relatori provenienti dal resto d’Italia. Sono stati affrontati vari argomenti, soprattutto relativi a patologie cardiache come la fibrillazione atriale e lo scompenso cardiaco, e a nuove terapie per le patologie cardiovascolari, sia dal punto di vista farmacologico che dei device. Questo ha fatto sì che si approfondissero gli argomenti e che si ricominciasse a fare formazione. La formazione continua, in particolare per noi medici, è fondamentale. Riuscire a portare relatori di una certa fama, che lavorano costantemente sullo stato dell’arte della medicina consegnandoci le informazioni e i progressi costanti della cardiologia, è importante. Siamo tenuti ad offrire ai pazienti le cure che in questo momento la medicina ci può offrire».
Un importante lavoro che è il frutto di anni difficili. Ripercorrendo la recente storia dell’unità operativa di Cardiologia, non possiamo non ricordare che si è partiti da una condizione di disagio iniziale, risanata poi negli anni dall’intervento sinergico del dottor Bisignani con l’intero staff sanitario, e che ha inaugurato e innescato questo processo di risalita virtuosa ereditato e portato avanti dalla dottoressa De Bonis. Interventi che hanno portato il reparto a diventare una vera e propria eccellenza. Una tra tutte l’implementazione di stent per bypass che non hanno bisogno di manutenzione, una novità assoluta per il nostro ospedale.
«I risultati, è vero, sono il frutto di un ottimo lavoro di squadra, dell’impegno del dottor Bisignani, che è stato per un anno e mezzo primario di Cardiologia, della direzione generale, prima con La Regina e ora con Graziano e dell’ingegneria clinica con l’ingegnere Capristo, che hanno voluto la riapertura di un nuovo reparto e, soprattutto, dell’unità di terapia intensiva coronarica. È impensabile che al giorno d’oggi un reparto come il nostro in una città così grande non abbia l’unità di terapia intensiva cardiologica. Naturalmente l’apertura dell’Utic ci ha permesso di ricoverare pazienti con particolari patologie che necessitano di essere monitorati. Abbiamo proseguito con l’impianto di device sempre più complessi e sofisticati. Con orgoglio dico che il nostro reparto è stato scelto da una casa produttrice di dispositivi di ultimissima generazione, compatibili con la risonanza magnetica e che sono i più longevi al mondo. Questi tipi di device sono indispensabili soprattutto in quei pazienti che soffrono di scompenso cardiaco (in cui vi è una riduzione della funzione cardiaca). Questi pazienti, infatti, vanno incontro con maggiore frequenza a delle aritmie minacciose per la vita (tachicardia ventricolare, fibrillazione ventricolare…) e l’unico modo per prevenirne la morte cardiaca improvvisa è l’impianto di questi dispositivi. Da qui capiamo l’importanza di poter offrire ai pazienti terapie all’avanguardia, soprattutto nel loro territorio, senza costringerli a spostarsi altrove».
«Grazie a tutto questo e al lavoro sinergico di tutti i gruppi coinvolti – prosegue - siamo capaci di gestire le urgenze anche dal punto di vista dell’elettrostimolazione. Noi pensiamo alle patologie legate all’emodinamica come le uniche tempo-dipendenti, in realtà anche nelle patologie legate ai disturbi elettrici del cuore (aritmie) la tempestività è importante. In più è stato attivato il laboratorio di controllo dei pacemaker, grazie al quale i pazienti, soprattutto anziani, non sono più costretti a partire per effettuare visite di controllo».
E sulla sperimentazione della telemedicina, e quindi sul monitoraggio delle telemetrie a distanza, afferma: «Abbiamo due tipi di telecardiologia e telemedicina. Abbiamo la telecardiologia dell’emergenze che è quella di tutta l’Asp, voluta da Bisignani ormai più di 4-5 anni fa, e che ci consente di gestire il paziente in acuto. Tutte le ambulanze della nostra Asp sono dotate di un defibrillatore che è capace di fare contemporaneamente anche l’elettrocardiogramma, perciò quando il 118 viene allertato e si interviene sul paziente, all’Utic di riferimento arriva l’esito del test effettuato. Questo, capite bene, consente di poter fare una diagnosi ancor prima che il paziente giunga in ospedale e questo aiuta molto nell’ottimizzazione e riduzione dei tempi».
«In più – aggiunge - la telecardiologia ci ha consentito, durante il periodo Covid, di poter effettuare gli elettrocardiogrammi a distanza quando i pazienti accusavano sintomi riconducibili all’infarto, evitando inutili accessi in Pronto Soccorso e valutando gli interventi caso per caso. La telecardiologia ci consente anche di monitorare a distanza i dispositivi impiantati e, grazie a sofisticati algoritmi, di prevedere in pazienti con scompenso cardiaco, addirittura 35 giorni prima, l’insorgenza di un evento acuto. Importantissimo quindi perché abbiamo una riduzione dei ricoveri, una riduzione delle riacutizzazioni e terapie più adatte».
Il lavoro delle equipe medico-sanitarie, però, non si esaurisce qui. Molto viene fatto anche sul fronte prevenzione, importantissima per le malattie legate al cuore. Di recente, infatti, è stata promossa un’iniziativa lodevole che ha visto il reparto di Cardiologia e l’associazione Fidapa uniti per sensibilizzare sulle malattie cardiache femminili. Quanto valgono azioni del genere e che impatto hanno sulla popolazione?
«Il valore del colloquio tra il medico e l’utente è fondamentale, soprattutto per quanto riguarda le malattie cardiovascolari. Questa campagna per le donne, poi, è molto importante perché fino a poco tempo fa si pensava che la principale causa di morte femminile fossero i tumori (dell’utero e del seno). Oggi, in realtà, si è scoperto che non è più così e che sono le malattie cardiache la principale causa di decesso. Questo cambiamento lo si riscontra perché gli stili di vita delle donne sono cambiati: fumano più degli uomini, si alimentano in maniera errata, sono più obese rispetto al passato. I canonici fattori di rischio come diabete, ipercolesterolemia, ipertensione, sedentarietà, fumo di sigaretta sono comuni ai due sessi ma ci sono fattori specifici delle donne. Ad esempio, la donna che ha sofferto di diabete gestazionale, che ha partorito pre-termine, che è stata sottoposta a radioterapia è più esposta a patologie cardiovascolari. È necessaria una prevenzione primaria, una secondaria (quando purtroppo l’evento cardiaco si è già manifestato) ma soprattutto è necessaria una prevenzione, direi, “primordiale”. Bisogna iniziare dai bambini e dalle bambine in età scolare a parlare di salute e stili di vita corretti, solo così si potrà fare vera prevenzione».