La Calabria ricorda Francesca Morvillo, unica donna vittima della strage di Capaci
A Reggio Calabria intitolate due strade a lei e al marito, Giovanni Falcone. Impegnata da sempre nella lotta alla mafia. Fu una delle prime donne a diventare magistrato in Italia
CORIGLIANO-ROSSANO – A trent’anni dalla strage di Capaci, tanto è stato scritto e detto, ma non tutto. In questo giorno di profondo lutto, rimasto immutato dal quel lontano 23 maggio del 1992, lo sgomento assale chiunque.
Sgomento dovuto alla violenza dell’attentato che ha visto uomini di legge, diventare vittime di un vero e proprio massacro. Tra queste, tutte ricordate oggi da fiumi di articoli pubblicati da tutte le testate italiane, vogliamo deporre una virtuale ma sentita corona di fiori sulla stele dell’unica donna il cui nome compare nell’infausto elenco di coloro che persero la vita per mano della furia cieca della criminalità organizzata, Francesca Morvillo.
Moglie di Giovanni Falcone, ormai uomo simbolo dell’Italia che lotta e crede nei valori di legalità e giustizia, è sempre stata l’ombra discreta e sorridente di un marito che ha dominato le scene di cronaca dell’antimafia, degli anni ’80-’90.
Una missione comune quella di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, che ha trovato la sua massima espressione in entrambi, anche se con modalità e sfumature diverse. La Calabria ricorda entrambi e, a Reggio due strade sono state intitolate alla coppia oltre che un arbusto, piantato sempre nella città sullo stretto, in memoria dei due magistrati e dei tre uomini della scorta.
Giovane e bella, magistrato anche lei, siciliana, laureata a soli 22 anni, fu tra le prime donne che, nel 1968, a vincere il concorso in magistratura appena fu accessibile alle donne e nel 1990, fu l’unica donna nominata giudice presso la Corte di Appello di Palermo.
Anche se in punta di piedi, fu sempre impegnata nelle battaglie sociali e culturali con una chiara connotazione antimafia, nella sua Sicilia. Ad esempio, come insegnante in un doposcuola pomeridiano frequentato in prevalenza da ragazzi di famiglie disagiate, di cui molti erano figli di detenuti.
Vogliamo ricordarla così, sorridente e sempre accanto al marito, senza tentennamenti, anche quando ormai il senso terrore si respirava nell’aria.