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Nel cuore dell'Arberia: il vino come lingua madre

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VACCARIZZO ALBANESE - Quando il sole di luglio si distende come una colata d’ambra sulle colline affacciate sullo Ionio, Vaccarizzo Albanese si assopisce in un silenzio da cartolina. Il borgo – antico e circolare, di pietra e memoria – resta immobile fino a sera, quando le piazze e i tavolini del Caffè Poesia, del Royal Caffè e della Rusticheria cominciano a riempirsi di calici, di risate e di quella forma di socialità lenta che solo i paesi dell’interno conservano intatta.

Ma poi, come ogni anno, qualcosa cambia. Il Concorso Vini Arbëreshë, giunto alla sua ventesima edizione, torna a trasformare questo piccolo centro italo-albanese della provincia di Cosenza in un salotto diffuso, dove le piazze diventano salette di degustazione all’aperto, le vie si fanno passerelle per bicchieri levati al cielo, e sotto lo sguardo austero di Skanderbeg, l’eroe nazionale albanese, prende vita una celebrazione di cultura, comunità e vino artigianale. Una festa, mille storie.

Organizzato dal Comune di Vaccarizzo Albanese il concorso, arrivato al ventesimo anno, coinvolge produttori provenienti da molti dei comuni arbëreshë sparsi tra Calabria e Basilicata. I volti dietro le bottiglie compongono un mosaico umano variegato: un giovane studente di medicina da Frascineto, un prete cattolico di rito bizantino che coltiva la vigna di famiglia a Eianina, una signora di San Giorgio che alterna la vinificazione alla cura della casa, un barista appassionato o un ex poliziotto in pensione di San Demetrio Corone, oppure un architetto di San Martino di Finita con la passione della vitivinicoltura, per citare solo alcuni.

Ognuno porta al concorso qualcosa che va ben oltre il vino: una lingua minoritaria ancora viva, una gestualità antica, un legame con la terra che non conosce scorciatoie. I loro vini sono sinceri, naturali, a volte imperfetti nel modo più affascinante possibile.
Qualche giorno fa ho chiesto all’Intelligenza Artificiale di immaginare la 100ª edizione del Concorso. Il responso? Sommelier robotici, brindisi intergalattici, avatar in costume tradizionale. Una visione affettuosamente surreale, che strappa un sorriso e solleva una domanda sincera: il futuro saprà essere bello come questa edizione della festa? Moti cë vjen do t'jetë shumë i bukur?

Vaccarizzo Albanese non si limita a fare da cornice: è parte del racconto. Sulla piazza principale, dedicata a Pasquale Scura – ministro di Grazia e Giustizia nel Regno delle Due Sicilie e autore della formula “una e indivisibile” che arriverà fino alla Costituzione repubblicana – convivono armoniosamente due chiese. La chiesa parrocchiale  dedicata a Santa Maria di Costantinopoli, custodisce affreschi neobizantini, lampadari athoniti e una preziosa iconostasi lignea. Accanto, la Madonna del Rosario è oggi un museo di statue antiche e salone parrocchiale.
Accanto, il restaurato Palazzo Gigli ospita un Museo del Costume Arbëreshë tanto ordinato quanto sottovalutato. Poco più in là, la Torre dell’Orologio. Con la stele di Skanderbeg e il monumento al vino (un grappolo monumentale, sempre in corten: il metallo del nuovo orgoglio locale) il borgo arbëreshë flirta senza troppa timidezza con l’architettura contemporanea.

L'appuntamento

Il 5 luglio 2025 a Vaccarizzo Albanese sarà come muoversi sopra una grande sciarpa di seta — non quelle tristi, stampate a Roma con le solite rovine imperiali ma una tela viva, colorata e audace. Chi vorrà esserci, sarà accolto da vino e musica e da un'identità che si racconta senza retorica, col sorriso sulle labbra e il calice in mano. Il tempo che verrà, dicevano gli antichi, appartiene a Dio. Ma se dovesse somigliare anche solo un po’ alla bellezza di questa festa, sarà degno di essere vissuto.

Elia Hagi
Autore: Elia Hagi

Studia a Roma filosofia e teologia e comunicazioni sociali e oggi svolge a Vaccarizzo Albanese il suo ministero sacerdotale. Diventato sommelier, segue con passione la rinascita del vino calabrese con un particolare interesse rivolto ai vini identitari Arbëreshë.