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Agricoltura verticale: la nuova tecnica di coltivazione anti erosione arriva nella Sibaritide

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CORIGLIANO-ROSSANO – Ottimizzare spazio e produzione, con ampi guadagni, questo è quello che promette l’agricoltura verticale, ovvero coltivare delle specie vegetali su più livelli sovrapposti.

Questo comporta massimizzare le quantità di piante prodotte in un metro cubo, anche di alta qualità con tecniche di coltivazione cosiddette “fuori suolo” in un ambiente in cui sono controllati tutti i parametri ambientali (temperatura, umidità ecc). La produzione agricola è intensiva e sostenibile con risparmio idrico del 90%.

In realtà con i prezzi che oggi hanno raggiunto frutta e verdura, la produzione intensiva d’ortaggi fa gola un po' a tutti, vediamo pro-contro.

Se ne parla già dal 2008 quando il professore Despommier pubblica un libro sul concept di fattorie verticali, ma l’origine parte dal 1909 quando vengono pubblicati i cartoon di A.B. Walker su Life Magazine, finchè non si arriva alla “fattoria integrata” del biologo canadese Jhon Todd, che nel 1984 propone l’idea di un edificio ecosistemico, su più piani, ovviamente artificiale. Questo l’edificio che accoglie un’intera filiera agroalimentare: produzione, trasformazione, vendita e consumo.

A volte possono essere associate alle serre, ma non sempre ciò è esatto, in quanto queste non si sviluppano verticalmente. Ma l’interesse cresce per via delle enormi quantità di ortaggi che si possono produrre.

In Italia solo la Lombardia si sta muovendo a livello normativo per regolarizzare questo tipo di attività del settore primario. In Calabria pochissime le aziende che adottano il sistema, tra cui una nella Piana di Sibari le cui coltivazioni idroponiche, in cui le radici delle piante vengono irrorate mediante una soluzione nutritiva composta da acqua e sali minerali in quantità e rapporti specifici, per ciò che riguarda i dosaggi, vengono gestite da un computer.

Ricordiamo anche il sistema di acquaponica che è basato sull’acqua impiegata come ambiente circolare che mette in relazione la vita di piante, pesci e batteri.

Inoltre notiamo che le aziende calabresi che praticano questa tipo di coltivazione, oltre ad essere poche, sono quelle che originariamente hanno praticato la coltivazione tradizionale da terra e poi hanno investito capitali in questa nuova tecnica agricola. L’esiguo numero è dovuto al confronto tra vantaggi e svantaggi elencati qui di seguito.

I vantaggi: riduzione dell’uso di pesticidi e agroformaci, relativa semplicità di utilizzo e realizzazione, notevole risparmio idrico rispetto alle coltivazioni in campo aperto, controllo della soluzione nutritiva.

I costi, però restano alti, soprattutto quelli energetici, rispetto al guadagno che si ricava, di cui la consistenza numerica si vede solo dopo i primi cinque anni. Nella coltivazione idroponica si tende anche a preferire la scelta di poche varietà di ortaggi selezionati, molto performanti e spesso ibridi. 

Se è vero che un ettaro di agricoltura verticale equivale a nove di coltivazione tradizionale, per ora, è anche vero che tali colture sono soggetti, almeno per adesso anche a vincoli biologici perché non tutte possono essere infatti coltivate in un ambiente artificiale, come le patate (tuberi), o gli ortaggi a radice, come le carote. Inoltre bisogna considerare che le colture che crescono molto in altezza non hanno lo spazio sufficiente per svilupparsi negli impianti verticali a più piani.

Certamente nelle zone dove c’è abbondanza di terreni coltivabili, come la Calabria, questa pratica non trova ancora molto spazio, anche perché l’accesso ai fondi europei in Italia, è ostico. Ma il settore è in crescita nel mondo, previsti 6,4 miliardi di dollari in più entro il 2023.

Francesca Sapia
Autore: Francesca Sapia

Ha due lauree: una in Scienze politiche e relazioni internazionali, l'altra in Intelligence e analisi del rischio. Una persona poliedrica e dall'animo artistico. Ha curato le rassegne di arti e cultura per diversi Comuni e ancora oggi è promotrice di tanti eventi di arti visive