Monsignor Savino: «Negli ospedali entrate inginocchiandovi, perché qui c'è la carne viva di Cristo»
In occasione della XXX Giornata Mondiale del Malato il Vescovo visita l'Ospedale di Castrovillari, di Trebisacce e la "Casa Serena" di Cassano. Ecco il suo messaggio
CASSANO JONIO - Il Vescovo della diocesi di Cassano Jonio, monsignor Francesco Savino, in occasione della XXX Giornata Mondiale del Malato, ha scelto tre luoghi per celebrare questo momento. Ha visitato l'Ospedale di Castrovillari, di Trebisacce e la Casa di riposo per anziani "Casa Serena" di Cassano.
«Quando entrate in un ospedale – ha affermato il presule -, fatelo inginocchiandovi, perché in questo luogo c'è la carne viva di Cristo. Occorre passare dal vedere al toccare. La civiltà di un Paese – ha ammonito -, si misura dall'attenzione che si dà alle politiche socio – sanitarie».
Agli ammalati, agli operatori sanitari e a tutti fedeli della diocesi, ha consegnato il messaggio i cui contenuti sono racchiusi in una nuova visione della pastorale della salute.
«Promuovere una cultura della sofferenza – scrive monsignor Savino -, che non sia una mera liturgia consolatoria ma un compendio di gratuità, cura e condivisione, un volto della normalità che non ghettizzi ma includa, segno e strumento dell'abbandono totale, tra le braccia di Dio».
Riportiamo di seguito il testo integrale del messaggio del Vescovo.
«Care sorelle, cari fratelli,sono tanti i pensieri che attraversano la mia mente e che cerco di ricucire con coerenza, in occasione di questa XXX Giornata Mondiale del Malato che, quest’anno, nell’attraversare la selva oscura della pandemia, più che una ricorrenza, mi sembra essere la giusta metafora di Gesù crocifisso. Avrei voluto precisare, nell’intestazione di questo mio messaggio, che lo stesso è rivolto alle sorelle ed ai fratelli ammalati ma, ripensando agli ultimi due anni della nostra vita, segnata dall’esodo pandemico, ho inteso rivolgermi a chiunque si senta mia sorella, mio fratello, nel costato di Cristo. La malattia, infatti, come la morte, non tollera favoritismi, livella le differenze e ci colpisce tutti: nel corpo che la ospita e nell’anima che la teme.
Per questo motivo ho trovato le parole di don Tonino Bello oltremodo complici e, per come Papa Francesco ammonisce nel suo messaggio in occasione di questa giornata, misericordiose.
(…) «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36) ci fa anzitutto volgere lo sguardo a Dio “ricco di misericordia” (Ef 2,4), il quale guarda sempre i suoi figli con amore di padre, anche quando si allontanano da Lui. (Messaggio del Santo Padre Francesco per la XXX Giornata Mondiale del Malato).
La misericordia delle parole del Venerabile vescovo di Molfetta aderisce alla verità della sua vita: le scrisse da malato, nel febbraio del 1993 a due mesi dalla sua dipartita verso un’Alt(r)a vita. Lo scritto di don Tonino, oggi, ci ricorda che esiste una traccia di santità nella malattia che ci supporta nel sopportare la croce perché “se noi dovessimo lasciare la croce su cui siamo confitti e non sconfitti – scrive don Tonino - il mondo si scompenserebbe.” Forse dobbiamo confessarci una verità che a volte spaventa: la malattia ci fa fare esperienza di finitezza, di solitudine, di abbandono e di umiltà. La malattia, il drago che rode dentro, come direbbe Davide Maria Turoldo, sfigura le nostre certezze e detta l’intensità della nostra passione che solo nell’abbandono alle carezze di Cristo, trova ristoro, comprensione e misericordia.
Per questo motivo e seguendo l’indirizzo del Santo Padre, rifletto oggi sull’importanza della pastorale della salute e sul suo servizio misericordioso ed indispensabile.
“A questo proposito, vorrei ricordare che la vicinanza agli infermi e la loro cura pastorale non è compito solo di alcuni ministri specificamente dedicati; visitare gli infermi è un invito rivolto da Cristo a tutti i suoi discepoli. Quanti malati e quante persone anziane vivono a casa e aspettano una visita! Il ministero della consolazione è compito di ogni battezzato, memore della parola di Gesù: «Ero malato e mi avete visitato»”. (Mt 25,36) (Messaggio del Santo Padre Francesco per la XXX Giornata Mondiale del Malato).
Che cos’è la pastorale della salute?
I presupposti cristologici ed ecclesiologici della pastorale della salute
Molto spesso si tende a considerare la pastorale della salute come un settore parziale dell’attività pastorale della Chiesa, affidato solo ad un ridotto numero di specialisti (religiosi, sacerdoti, diaconi e laici) che ha per oggetto il conforto spirituale e umano degli ammalati e dei loro famigliari, soprattutto nelle strutture sanitarie. Questa visione “riduzionistica” della pastorale della salute, non tiene conto dell’identità missionaria della Chiesa che lo stesso Gesù ha delineato nella sua predicazione, soprattutto nelle istruzioni date ai suoi discepoli. Leggiamo così nel capitolo X del vangelo di Matteo: “E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,7-8). Gesù affida alla Chiesa nascente la missione di prendere in carico l’uomo sofferente, in tutte le sue dimensioni costitutive: corporea, spirituale, psicologica e sociale. Quindi potremmo dire che tutta l’azione pastorale della Chiesa è rivolta ad annunciare la Salvezza di Cristo che è “Salute globale dell’uomo”. Ecco che l’uomo salvato da Cristo riacquista e conserva la sua “salute originaria”, attraverso l’azione della Chiesa che diventa contesto di cura imprescindibile per l’uomo. La pastorale della salute quindi è un ambito imprescindibile ed indispensabile per l’annuncio della salvezza che il cristiano riceve in eredità per mezzo di Gesù Cristo. Tutta la comunità deve essere investita di questa missione, pur adempiendo alla necessità di avere una adeguata formazione che tenga conto di due pilastri imprescindibili per essere dei buoni operatori di pastorale della salute: Scienza e Carità. La Scienza senza la Carità si gonfia, mentre la Carità senza la Scienza vaneggia! Le ardite esigenze cliniche e le tecniche biomediche che la scienza oggi ci fornisce, non devono mai entrare in contrasto con la necessità di assicurare la dignità della ed alla persona umana in tutte le fasi della sua esistenza terrena. La pastorale della salute, quindi, delinea e mette in atto quel processo di umanizzazione delle cure che è espressione della Carità di Cristo verso le persone sofferenti, fornendo alla Scienza una “coscienza del limite” che molte volte sembra aver dimenticato. Esplorare il senso cristiano del limite della persona umana è un’attenzione importante della pastorale della salute soprattutto dinanzi alle problematiche che la coscienza credente incontra alle due soglie dell’esistenza: la nascita e la morte. Accompagnare la vita proteggendone le fragilità, favorisce quegli interventi atti a custodire la salute nel dramma della malattia. Un valore importante che la pastorale della salute deve coltivare in seno alla comunità cristiana è il valore della gratuità: la salvezza che Gesù offre agli uomini è grazia, ossia un movimento di gratuità e di amore disinteressato, che la rende credibile ed affidabile. Pur riconoscendo il valore delle professionalità socio-sanitarie necessarie rispetto ad un processo di cura efficace e qualificato, la pastorale della salute nelle comunità deve accompagnarsi a questa apertura alla gratuità che lo stesso Gesù quasi ci comanda di attuare: “Gratuitamente avete ricevuto, Gratuitamente date!”
Come pensare una pastorale della salute in chiave profetica.
Una pastorale della salute che denunci e limiti la cultura dello scarto.
Una cultura come quella che stiamo edificando, protesa all’immediato e al rapido raggiungimento dei propri scopi di efficienza e guadagno, non può rappresentare un “modello simultaneo di sviluppo e di cura”. La cultura “progressocentrica” si basa su un concetto opposto a quello di CURA, che è il concetto di SCARTO. Lo scarto è il prodotto del consumo; quando non c’è più niente da consumare, si produce lo scarto. Può essere di qualsiasi natura: animale, vegetale, materiale, umano. Le persone non sono più un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se “non servono ancora” – come i nascituri - o “non servono più” – come gli anziani. Questa cultura dello scarto è stata, in alcuni casi, protagonista anche della fase pandemica che abbiamo e stiamo ancora attraversando; basti pensare a cosa è stata l’esperienza della morte per alcune persone, soprattutto anziani, morti in completa solitudine e senza il conforto dei propri cari. La CULTURA DELLO SCARTO isola le generazioni ed espone soprattutto le nuove a privarsi “del necessario contatto con le loro radici e con una saggezza che la gioventù da sola non può raggiungere”. La cultura dello scarto è figlia di una CULTURA DELLA CRESCITA che ha dimenticato la GIUSTIZIA come condizione necessaria affinché la crescita sia finalizzata ad uno SVILUPPO UMANO INTEGRALE.
La pastorale della salute, promuove uno sviluppo umano integrale che si fonda sul concetto di cura e rappresenta un antidoto efficace contro quella cultura del non serve ancora, non serve più, che molte volte disorienta anche molti credenti.
Una pastorale della salute che promuova un’etica della responsabilità come esercizio di fraternità.
Un ulteriore ostacolo allo sviluppo di una fraternità in senso universale, secondo il Papa, è rappresentato da un deterioramento dell’etica e da un indebolimento dei valori spirituali e del senso di responsabilità. Questo era già stato richiamato nel Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato nel 2019 insieme all’imam Ahamad Al- Tayyeb, in cui pur riconoscendo le ricadute positive dello sviluppo scientifico – tecnologico, si registra un’involuzione etica dell’uomo che diffonde “una situazione generale di frustrazione, di solitudine e disperazione” e che provoca una grande sfiducia collettiva e una disillusione verso i grandi ideali collettivi di giustizia e di pace. Questo disinganno, che lascia indietro i grandi valori fraterni, conduce ad una sorta di cinismo (Fratelli Tutti). Un cinismo che secondo Papa Francesco diviene una vera e propria ossessione per il proprio benessere e la propria felicità (l’apologia dell’individualismo) anche a discapito della condivisione e dell’interesse comunitario. Qui però emerge la grande tragedia che questo tipo di cultura produce soprattutto dinanzi alle grandi sfide globali del nostro tempo. Negli ultimi due anni, ci siamo riscoperti solidali nel dover affrontare una minaccia globale come quella di una pandemia e “ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme”. Siamo fratelli anche dinanzi alle “minacce” della malattia e della morte, e non maschere che si aggrappano alle false certezze del nostro “ego”. Ci siamo ingozzati di connessioni e abbiamo perso il gusto della fraternità. Abbiamo cercato il risultato rapido e sicuro e ci troviamo oppressi dall’impazienza e dall’ansia. Prigionieri della virtualità, abbiamo perso il gusto e il sapore della realtà. Il dolore, l’incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti che la pandemia ha suscitato, fanno risuonare l’appello a ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza (Fratelli Tutti).
Il Papa auspica che l’umanità impari da questa grande tragedia che ha investito milioni di persone, recuperando “la passione condivisa per una comunità di appartenenza e solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni”. Se mancherà questa ripresa, si tornerà a sperimentare “la nausea e il vuoto” prodotti dal nichilismo consumistico contemporaneo.
Una pastorale della salute che promuova la cura delle relazioni come esercizio concreto di misericordia.
Al numero 5 del messaggio di quest’anno per la XXX Giornata Mondiale del Malato, Papa Francesco ci parla della misericordia pastorale come cura delle relazioni che si concretizza nei due atteggiamenti di presenza e prossimità. Questi sono i due pilastri della pastorale della salute che, come ci ricorda il Papa, è ministero della consolazione di ogni battezzato: Nel cammino di questi trent’anni, anche la pastorale della salute ha visto sempre più riconosciuto il suo indispensabile servizio. Se la peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri – e i malati sono poveri di salute – è la mancanza di attenzione spirituale, non possiamo tralasciare di offrire loro la vicinanza di Dio, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. [6] A questo proposito, vorrei ricordare che la vicinanza agli infermi e la loro cura pastorale non è compito solo di alcuni ministri specificamente dedicati; visitare gli infermi è un invito rivolto da Cristo a tutti i suoi discepoli. Quanti malati e quante persone anziane vivono a casa e aspettano una visita! Il ministero della consolazione è compito di ogni battezzato, memore della parola di Gesù: «Ero malato e mi avete visitato» (Mt 25,36).
Breve profilo del direttore diocesano di pastorale sanitaria: Sia un uomo di fede e di comunione e che sappia abitare i luoghi della sofferenza; Abbia la capacità di dialogare con altri saperi e altre professionalità che accompagnano il percorso terapeutico dei malati e delle famiglie; Abbia curiosità verso i progressi della scienza clinica e soprattutto dei nuovi problemi etici che si pongono alla coscienza credente con l’avanzare di tali progressi; Sia capace, in seno alle strutture socio-sanitarie soprattutto di ispirazione cattolica, di insegnare il senso della gratuità attraverso la cura dei volontari e degli operatori socio-sanitari; Sappia coadiuvare il ministero nella promozione di una pastorale della salute integrata con la vita pastorale delle comunità; Sappia promuovere con opportune progettualità la crescita della carità pastorale verso gli ammalati e le loro famiglie nei diversi contesti; Coordini il lavoro degli operatori di pastorale della salute all’interno dell’intera comunità diocesana; Sia un missionario della salute ossia esca dalla logica burocratica dell’ufficio e visiti in prima persona i contesti socio-sanitari della diocesi.
Per concludere, l’auspicio è quello di promuovere una cultura della sofferenza che non sia una mera liturgia consolatoria ma un compendio di gratuità, cura e condivisione, un volto della normalità che non ghettizzi ma includa, segno e strumento dell’abbandono totale, tra le braccia di Dio».