Quando la festa di San Pietro dava inizio alla “stagione” di Rossano
Il racconto di come, negli anni ’70, la comunità tutta si impegnava per preparare ogni dettaglio della festa del loro Santo Patrono
CORIGLIANO-ROSSANO - Fino ai primi anni ’70 del secolo scorso c’era un giorno preciso, quasi istituzionalizzato, nel quale aveva inizio la “stagione”; non c’era bisogno di definirla bella, come normalmente si definisce l’estate, in quanto quella era la stagione delle vacanze, dei giorni luminosi e spensierati, della festa.
Il giorno era senza dubbio il 29 giugno, festa del primo apostolo Pietro.
In quegli anni non era facile trovare momenti di aggregazione e di festa nei quali riscoprire sorrisi e spensieratezza ed anche una festa di piazza diventava occasione di gioia.
Già dai primi giorni di maggio i giovani della parrocchia, sotto la guida del sempre paziente don Antonio Guarasci, cominciavamo a pensare alla festa del loro Santo Patrono.
Si trattava di una festa popolare molto sentita, che vedeva la partecipazione di tantissimi rossanesi, stanziali o di ritorno dalle città di emigrazione.
Per prima cosa bisognava trovare i soldi indispensabili per avere i cantanti.
I giovani si dividevano in due o tre gruppi e battevano palmo a palmo la città per chiedere le offerte, con in mano le classiche immaginette di San Pietro.
La maggior parte delle volte si trattava di offerte di poche lire, cinquanta o cento lire, c’era anche chi offriva dieci o venti lire, ma i giovani non si perdevano d’animo.
Tra un giro e l’altro delle questue si preparavano anche le luminarie.
Non ci si rivolgeva a ditte specializzate, che sarebbero costate troppo, ma si producevano in autonomia sotto la guida del più esperto tra quei giovani, Isidoro, per poi allestirle sulla strada che porta alla chiesa ed in Piazza, dove poi si sarebbe tenuta la festa con i cantanti.
Con i primi incassi delle questue si comprava il materiale elettrico ed il filo di ferro. Le tavolette si avevano in dono da “mastro” Vincenzo Larosa, il falegname che aveva bottega nei pressi del vecchio carcere di Rossano.
Tra le tante vicissitudini di quei giovani così volenterosi di organizzare la festa, in una occasione si rischiò il dramma. Una signora anziana che abitava nella casa col balconcino a fianco della chiesa, chiamò gli improvvisati elettricisti per dire che l’inferriata del suo balcone “scottava”. I giovani per scrupolo andarono a controllare e scoprirono che il fil di ferro, col quale era attaccata la luminaria toccava un cavo elettrico scoperto e portava corrente sulla ringhiera della signora.
Altro che scottare, si è rischiato di mandare arrosto la povera signora che regalava la corrente elettrica ed accendeva le luminarie non appena imbruniva.
A metà giugno si teneva la riunione programmatica della festa. Si decideva quale cantante o complesso invitare, se prendere o meno la banda di “Mastro” Ernesto e quali giochi popolari organizzare.
Il palco era sempre allestito sul cassone del camion del papà di Ughetto La Sala e per abbellirlo il giorno della festa si andava tutti a tagliare fiori di oleandro.
La corrente elettrica per gli strumenti ed i microfoni la offriva “Ntoni ‘e ra Luisa”, una famiglia che all’epoca abitava la casa natale di San Nilo.
A cavallo degli anni ’60 e ’70 furono diversi i cantanti ed i complessi che si sono esibiti durante le feste di San Pietro: i Pipistrelli, i Personaggi e gli Alisei erano i più abitudinari per via delle loro canzoni sempre attuali.
Un anno si decise di fare il salto di qualità. Anziché il solito complesso, gli organizzatori chiamarono ad esibirsi una cantante che stava attraversando un buon periodo di notorietà perché chiamata spesso ad esibirsi anche fuori città.
Si diceva che avesse anche inciso un disco a Milano e che prima o poi sarebbe esplosa nel mondo delle sette note.
Abitava con i genitori in una casa del cosiddetto “trenino”, quelle case popolari nei pressi dell’ex tribunale. Si chiamava Concetta Monaco.
I giovani si recarono da lei per stabilire il suo compenso e lei stessa propose di far esibire anche le sue sorelle più piccole Antonella e Giuseppina, “Giusy” nel mondo dell’arte.
Quell’anno la festa fu davvero grande, la gente accorreva a San Nico da tutta Rossano.
Dal primo pomeriggio e fino all’inizio dello spettacolo canoro si organizzavano i giochi popolari per contendersi i vari premi in natura come caciocavalli e salumi vari; in tanti erano disposti a partecipare alla corsa dei sacchi, alla “pignata”, “a ra fressura” o alla gara della pasta.
Erano tutti giochi che servivano a ravvivare la festa tra gli incitamenti di tutti i presenti.
A creare il clima di attesa di questo importante giorno c’erano sicuramente “i botti scuri” che rimbombavano in città per tutta la novena, sia al mattino che al pomeriggio ed a conclusione del concerto il fuochista Golluscio approntava le girandole sull’inferriata che divide via Amendola da Via Borghesia.
Tonino portava il suo blocco di ghiaccio con la “grattachecca” insieme agli sciroppi coloratissimi per produrre le sue granite; “Carova” portava palloncini ed altri giochi per la disperazione dei genitori che si portavano dietro i bambini, ma la felicità si leggeva sul volto di tutti i presenti. Ci si divertiva con poco.
La festa ha perso il suo significato aggregativo negli anni successivi grazie allo spopolamento dei centri storici.
Quest’anno ci sono segnali di una ripresa della festa, grazie all’intraprendenza del Parroco del Centro storico don Pietro Madeo, che ha fatto di tutto per riaprire in tempo la chiesa dopo la ristrutturazione, in occasione del 29 giugno.
Nel contesto della festa sarà riconsegnata alla città anche la storica fontana ristrutturata dall’Associazione Rossano Recupera, cosa resa impossibile dalla pandemia in precedenza.