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L'essenza del Natale è Mandatoriccio: un paese dove si vive di niente e si sopravvive di tutto

2 minuti di lettura

L’altra sera a Mandatoriccio ho rivisto lo spirito del Natale. Quello vero. Senza filtri. L’ho visto negli occhi dei bambini e della gente del paese. Una cittadina, nel cuore della Sila greca, piegata dalle diatribe politiche interne, senza un Sindaco e retta da un Commissario che – ovviamente – gestisce l’ordinaria amministrazione. Per le vie di quel paesino non una luminaria, non un simbolo comune di Natale e di festa. Eppure lì la magia di questo momento così forte che mette insieme tradizioni, fede, usanze non è sparita. Anzi.

Mandatoriccio e il suo senso del Natale sono stati un’illuminazione dopo le strabordanti polemiche coriglianorossanesi sulla qualità e i tempi di realizzazione delle luminarie artistiche, sugli eventi, sulle iniziative che avrebbero dovuto animare la grande terza città della Calabria nel periodo delle feste: tra chi chiede sempre di più e chi ha sempre da ridire su ogni cosa. A dire il vero, dopo aver visto la magia di quel paesino, non credo di essere – nemmeno io – esente da colpa. Perché tutti, spesso e sovente, dimentichiamo qual sia la vera essenza, l’estratto concentrato del messaggio del Natale.

Ecco, vi racconto quell’esperienza, a tutti gli effetti disarmante, che porto con me nel cuore, di questo momento, che al netto di guerre, crisi, problemi economici, rimane pur sempre un periodo di gioia e intima felicità, in ognuno di noi.

A Mandatoriccio il Natale di Gesù si è fatto vita nell’innocenza dei bambini che, non volendo lasciare al buio la grotta della festa, si sono rimboccati le maniche e hanno ricreato la magia che più di duemila anni fa si verificò nella lontana terra di Palestina, a Betlemme. Non lo hanno fatto da soli, certo, ma guidati e seguiti dai loro docenti in un piccolo centro dove (e per fortuna) la scuola, insieme alla parrocchia, rimane l’unico punto di riferimento vivo per le nuove generazioni. Gli insegnanti, il parroco e il maresciallo dei carabinieri (presenze immancabili in questi paesi dell’entroterra) e poi ancora il commissario prefettizio, sono stati tutti ed ognuno co-artefici e coadiuvanti di quel “Presepe Vivente” che per un pomeriggio ed una notte ha rianimato i vicoli e gli angoli più suggestivi di un centro abitato piegato dalla piaga della emigrazione e dello spopolamento.

Le musiche e i cori, i vestiti e i sapori della loro tradizione mischiati a quelli della storia biblica della venuta del Cristo in terra sono stati una proiezione reale in un mondo parallelo, a qualche kilometro di curve dalla vita frenetica e consumistica, dove si vive di niente e si sopravvive di tutto.

Eppure negli occhi di quei bambini vestiti da pastori, osti, agricoltori, da Giuseppe e Maria, c’era tutta la felicità del mondo. E non perché loro non conoscano i privilegi e gli agi della vita, le bellezze e le comodità della modernità. Ne sanno quanto o più degli altri loro coetanei. È solo che li apprezzano di più in quanto sono, per loro, una continua conquista.

In ciascuno di quelle bambine e di quei bambini c’era il volto innocente e parlante del bambinello. Con un’aria di soddisfazione e di matura consapevolezza di chi sa che il futuro lo deve costruire passo dopo passo, giorno dopo giorno, partendo da dietro, dalla periferia. Hanno costruito la loro intima e condivisa magia del Natale. E poco importa se per le vie di Mandatoriccio non c’era nemmeno una lucina di festa. Sono e continuano ad essere loro, i fanciulli di Mandatoriccio, il faro persistente e di mille colori, che illumina la storia personale e collettiva di quella comunità. Ma soprattutto hanno ingenuamente e naturalmente dato una lezione di vita a quanti pensano che il Natale sia un godereccio periodo di lustrini, cotillon, champagne e bella vita.

A Mandatoriccio dove si sopravvive di tutto il sacrificio che c’è per porre radici quanto più profonde per costruire un avvenire solido, ho trovato il mistero del Natale: è tra i suoi vicoli, è tra la sua gente ma soprattutto è tra i suoi bambini.

Marco Lefosse
Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.