Il rossanese Carlo Cito (1636-1712), rinomata celebrità del Foro Napoletano
Egli «fu prezioso germoglio di Anacleto della Famiglia Cito di Rossano», consigliere di Santa Chiara e Reggente della Real Cancelleria. Conosciamolo grazie al professor Carlino
Nel composito e autorevole scenario intellettuale della Città di Rossano non passa inosservata la figura di Carlo Cito, Regio Consigliere, appartenente all’omonima e nobile famiglia di Rossano portatrice di una certa consuetudine culturale confluita e depositata nella formazione dell’antica Accademia dei Naviganti, e successivamente Membro del nuovo movimento culturale, come ama definirlo Franco Joele Pace, dell’Accademia degli Spensierati di Rossano, istituzione fondata da Camillo Toscano, nata in contrasto con la precedente, ma in un secondo momento unificatesi in una sola associazione.
A riguardo basta leggere quanto scrive D. Giacinto Gimma nella prima parte dei suoi Elogj Accademici pubblicati da Gaetano Tremigliozzi, che lo segnala come degno di rinomata celebrità del Foro Napoletano per aver rappresentato con padronanza le qualità peculiari e distintive di celebri personalità della cultura ateniese, come la delicatezza di Socrate, uno dei più importanti esponenti della tradizione filosofica occidentale, la minutezza di Lisia, oratore e logografo, l’acume d’Iperide, oratore e politico, il timbro di Eschine, politico e maestro di eloquenza e il vigore di Demostene, politico e oratore, tanto da conquistarsi il titolo di illustre giureconsulto, dalla parola facile e convincente.
«Fu egli – scrive il Gimma – prezioso germoglio di Anacleto della Famiglia Cito di Rossano, nella cui nobiltà fu reintegrata sin dall’anno 1605, con Decreto del Sacro Consiglio e di Diana figlia di quell’illustre Consigliere D. Filippo Pascale patrizio di Cosenza» (1).
Con l’inizio del XIV secolo alcune testimonianze storiche riferiscono che un certo Giovanni Cito, o un suo nipote di nome pure Giovanni, Cameriere di Filippo Principe di Taranto, fu amministratore della Giustizia come Giustiziere nella Calabria al tempo del Re Roberto, fissando la sua dimora nella Città di Rossano, dove i suoi successori hanno beneficiato dei privilegi della Nobiltà. Notizie in tal senso si riscontrano nelle Memorie Istoriche… della Città di Sorrento, opera di D. Vincenzo Donnorso, che al riguardo scriveva: «[…] Carlo Cito fu Consigliere, dignissimo rampollo di questa Famiglia, Gio. Andrea principal personaggio di questa casa mantenne sempre con decoro lo splendore dei suoi natali in Rossano, i suoi figli furono Niccolò, e Francesco a cui s’estinse in Rossano la sua linea. Ma Niccolò vagò di viaggiare abbandonando la Patria si portò in Napoli, e vi piantò il ramo di sua casa, congiungendosi in matrimonio con Laura d’Argenzio, circa il 1549, nobile Capuana, vi procreò fra gli altri un figliolo chiamato Giov. Paolo, prese per moglie Lucrezia d’Alois della primaria nobiltà di Caserta, con la quale vi procreò Giovanni Alfonso, il quale dubitando che a lungo andare non si perdesse la memoria delle prerogative di nobiltà, ch’aveva godute nella Città di Rossano, volle rinnovarla, che però diede supplica nel S.R.C. nel 1605, e n’ottenne il decreto di reintegrazione a 12 maggio 1607. Si congiunse in matrimonio con Sara Piacenti d’antica nobiltà, originaria di Milano, e con essa procreò Anacleto, e Marcantonio, […] Anacleto s’applicò alle Scienze Legali, e dal Re Filippo III fu fatto Auditore nella Provincia di Principato Ultra, che l’esercitò con molta lode, e si accasò con Diana Pascale […]» (2).
Ciò detto, non si può fare a meno di evidenziare che, la famiglia, pur essendo stata ricollocata nella nobiltà locale con la pienezza della propria condizione solo nel 1605, questa sin dagli inizi del Cinquecento figurava tra le famiglie più prestigiose e note della comunità culturale e sociale della Città.
Quando Carlo venne alla luce a Rossano (CS) nell’ottobre 1636, il padre Anacleto in realtà ricopriva l’incarico di Uditore nella provincia di Principato Ultra, mentre la mamma appartenente, come si è accennato, al patriziato cosentino, era sorella di Bartolomeo Pascale, uno tra i più eccellenti avvocati del medesimo foro. Carlo, come risulta dal Testamento redatto dal notaio Francesco Mingrone di Napoli il 25 di ottobre 1649, aveva quattro sorelle: Anna, Teresa, Geronima e Caterina ed era il quarto di sei fratelli maschi. Di questi quattro scelsero la vita religiosa: Antonio, primogenito, fu Priore di un monastero; Giovanni, terzogenito, intraprese con successo la strada Ecclesiastica sino alla consacrazione di Vescovo della Città di Lettere conferitagli da Innocenzo XII; Giacomo, quintogenito, divenne religioso de’ Canonici del Salvatore in Santo Agnello di Napoli, una congregazione con la regola di sant’Agostino, ma morì adolescente. Infine Alfonso, sestogenito, che vestì la tonaca de’ Padri Olivetani, una congregazione monastica benedettina, col nome di don Benedetto, divenne per le sue qualità Abate del Convento di Monteoliveto di Napoli.
In famiglia, a seguire le orme dello zio Bartolomeo come avvocato, oltre a Carlo, fu Giuseppe, il secondo figlio maschio, che per oltre trent’anni esercitò la professione di avvocato fiscale presso il Regio Ministero oltre che Regio Auditore in tutte le Province del Regno. Carlo, pure lui indirizzato alla professione giuridica, frequentò e completò i suoi studi a Napoli dove tutta la famiglia si era spostata per agevolare la formazione anche degli altri figli. Dopo aver terminato gli studi umanistici con l’acquisizione della religione, della morale, della grammatica, delle lettere, della retorica, presso l’ordine dei Gesuiti, sotto la guida di ottimi maestri tra cui padre Carlo Paladino, riscuotendo consenso e stima da parte dei suoi precettori, fece esperienza della filosofia e della poesia.
Orientato allo studio delle Leggi Civili e Canoniche, verso le quali esibiva un’innata inclinazione, fino all’ottenimento del dottorato, raggiunto all’età di vent’anni, Carlo nel suo percorso di formazione fu discepolo di padre Giuseppe Cavaliere, morto come ci fa sapere il Gimma, Vescovo di Monopoli.
Mi sembra, quindi, abbastanza ragionevole immaginare come per Carlo, oltre che per la sua formidabile formazione e bravura, si fossero aperte le porte di un sicuro successo anche per la presenza, la considerazione e la rinomanza di cui beneficiava nel foro lo zio Bartolomeo Pascale. Ce lo ricorda ancora lo stesso Gimma quando scrive: «Comparve appena nel Foro Legale sotto la direzione di quel gran Giureconsulto suo zio D. Bartolomeo Pascale..., figliuolo dello stesso Consigliere D. Filippo, e fece conoscere quanto fosse luminoso il suo ingegno in una professione cotanto difficoltosa. I progressi, che in brevissimo tempo in lui si videro, furono cosi meravigliosi, che tosto cominciò a risplendere col titolo d’insigne Avvocato” (3).
Si congiunse in matrimonio con Anna De Majo una nobile del Seggio di Montagna, uno dei sette sedili della Città di Napoli, con la quale generò molti figli che beneficiarono dei diritti assegnati alla nobiltà nella Città di Rossano.
Nel 1696, dopo un’interminabile serie di affermazioni nell’ambito professionale, Carlo venne con grande merito nominato Consigliere di S. Chiara, dal Re Carlo II. Successivamente, come ci ricorda Giangiuseppe Origlia Paolino fu Reggente della Real Cancelleria(4).
Altre note biografiche di un certo interesse si registrano grazie ad Anna Casella che così ama scrivere: «[…] a Napoli, fece parte degli Infuriati, [Accademia] cui appartenne anche il Vico, partecipando, il 28 giugno del 1672, alla solenne tornata in onore del viceré marchese d’Astorga, il quale si era appena insediato. Proprio contro l’Astorga il C. ottenne il suo primo importante incarico pubblico, che valse a creargli un legame, divenuto poi stabile, con la nobiltà cittadina. Fu scelto, infatti, nell’estate 1675 – insieme con gli avvocati – […] per difendere, contro il viceré, le ragioni della Città che rivendicava un controllo sulle leghe adottate per la coniazione di nuova moneta, resa necessaria dalla continua falsificazione e tosatura di quella in circolazione. […]»(5).
Uomo aperto, premuroso, altruista, dotato di grande sensibilità d’animo, Carlo era sempre pronto a fare del bene, come ci rammenta Beniamino Panvini(6) senza nulla pretendere. Aveva grande rispetto per la religione e come credente praticava senza sfoggio gli insegnamenti della Chiesa. Dopo un lungo e rispettabile successo nella professione di insigne giureconsulto, da tutti elogiato per le sue grandi doti, qualità e meriti, all’età di 76 anni chiuse la sua vita terrena nel 1712.
BIBLIOGRAFIA
[1] G. GIMMA, Elogj Accademici …, p. 135, cit. p. 41.
2 V. DONNORSO, Memorie Istoriche della Fedelissima, ed antica Città di Sorrento… nella stamperia di Domenico Roselli, Napoli, 1740, pp. 212-213.
3 G. GIMMA, Elogj Accademici …, p. 136, cit. 41.
4 Cfr. G. ORIGLIA PAOLINO, Istoria dello Studio di Napoli, volume secondo, stamperia Giovanni De Simone, Napoli, MDCCLIV, pp. 162-163.
5 A. CASELLA, in http://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-cito_%28Dizionario-Biografico%29/.
6 Cfr. B. PANVINI, in Biografia degli Uomini illustri del Regno di Napoli compilata da diversi letterati nazionali, Tomo IX, Nicola Gervasi, Napoli, MDCCCXXII.