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San Morello sentinella sulla vallata dell’Arso. L’antico borgo dalle sembianze di un vulcano spento

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Non è semplice ricostruire la storia di un luogo antico come San Morello le cui informazioni non sempre sono a portata di mano. Tuttavia ricercando tra gli scritti di quanti si sono cimentati prima di me nel fare luce sulla storia di questo splendido borgo, che è quanto mi stimola a uno studio di sostanza, per conoscere l’arcaico e il presente, si cercherà di comporne un quadro il più possibile lineare ed esauriente delle sue vicende storiche e feudali tracciandone un percorso che ci porterà a conoscere anche il Borgo dei giorni nostri.

Uno dei pochi studiosi ai quali attingere per avere notizie certe e di prima mano è lo storico rossanese, Alfredo Gradilone, con la sua Storia di Rossano, il quale ci tramanda informazioni relative al periodo feudale e ai possedimenti dell’Abbazia del Patire in territorio di San Morello. Al riguardo ecco quanto scriveva: «Ad ogni modo, ancora nella seconda metà del Seicento, la badia possedeva un patrimonio imponente, come risulta dalla Particola della Platea, redatta nel luglio del 1661, a petizione del Commendatario card. Barberini e per ordine del S. Cons. Collaterale, del R. Uditore, Giovanni Buono, e conservata in copia dal not. Giovan Battista Laurea di Castrovillari.

I possessi erano così elencati: […] A San Morello: una vigna nella contrada Le Macchie: due predi di 2 tomolate nel luogo detto Verdi; un altro di 6 tomolate nella contrada Pantano; una vigna nella contrada Li Cucchiari; una vigna presso il Vallone del Verde; un altro possesso vicino Le Macchie; alcuni alberi di olivo nel luogo detto Le Manche, dove possedeva pure altre terre e vigne, una vigna nella contrada Verdò; terre nelle contrade Cerza Mossa, Manche, Verdò, nonché 35 carlini e mezzo di piccoli censi in danaro”» (1).

Sulla stessa materia informazioni si ricavano dagli studi di Andrea Pesavento, di Bassano del Grappa, ma già da molti anni a Crotone “dove ha costituito e diretto la biblioteca del Centro Servizi Culturali” curandone ricerche, pertinenti agli aspetti storici e sociali, dalle quali veniamo a conoscenza di un San Morello che avrebbe antichi legami con l’antica Abbazia del Patire. In riferimento così riporta: «Nel mese di maggio 1130 il re Ruggero confermava all’abate Luca del monastero del Patire tutti i privilegi e le terre, le chiese ed i casali, tra questi vi erano alcuni possedimenti in “agro” di San Mauro, donati dal protonotario Christodulo [II].

Allora così l’Edrisi collocava l’abitato di San Mauro: “Tra Cirò a Rusyanu (Rossano) la marittima quindici miglia. Da Rossano a Sant Mauru (San Mauro) cinque miglia. Tra San Mauro ed il mare sei miglia.”[III]. Nelle decime per la Santa Sede del 1325 compaiono in diocesi di Rossano, sia l’abitato di S.to Mauro che quello di S.to Maurello.[IV]In seguito il Casale di San Mauro fu abbandonato, mentre rimase quello vicino di San Maurello. Il legame tra San Mauro e San Maurello sarà evidenziato molti secoli dopo dalla platea dei beni del Patire del 1661, dove non compare più l’antico Casale di San Mauro ma quello di San Morello. Alla metà del Seicento l’abbazia vi conservava ancora i numerosi beni concessi nel Medioevo, anche se su alcuni aveva perso il controllo diretto, perché erano detenuti in enfiteusi da abitanti del luogo» (2).

Quanto appena documentato ci fa comprendere come l’economia del luogo e quindi il complessivo patrimonio, compresi i diritti vantati sul Borgo di San Maurello, a parte quelli riconosciuti al titolare del feudo ed altri ancora alla Curia di Cariati della quale il Borgo faceva parte, i rimanenti possedimenti erano controllati totalmente dall’abbazia del Patire. Abbazia, inoltre, che tramite i suoi priori o loro incaricati metteva in pratica anche la sua autorità circa il profilo economico.

I residenti nel Borgo, per lo più operai occupati nell’agricoltura, godevano, se così di può dire, di abitazioni il più delle volte poste al livello della strada. Pochi quelli che possedevano un pezzo di terra, usato per lo più per dedicarsi alla coltivazione della vite e di alberi da frutto, peraltro considerato patrimonio e quindi sottoposto, secondo le regole del tempo, all’accertamento fiscale e al pagamento del dovuto censo. Inoltre come era consuetudine nel periodo feudale coloro che occupavano per contratto in affitto un terreno a coltura estensiva (semina) erano obbligati a corrispondere un canone fisso in natura (grano…) e sostenere le spese di conduzione. Fu un periodo molto travagliato dal punto di vista amministrativo poiché il Feudo fu spesso venduto dal feudatario di turno, ragione per la quale San Morello visse sempre in un continuo stato di incertezza, con grave danno economico per le diverse attività, che incise profondamente sulla quotidianità della popolazione provocando l’esodo di un cospicuo numero di braccianti determinando così conseguenze per la coltivazione dei terreni e della relativa produzione.

Uno stato di instabilità, in quel periodo, reso maggiormente incerto da una pesante imposizione fiscale voluta dalla continua rotazione dei feudatari ed anche dall’avvicendarsi di una serie di problemi legati a carestie, scarsa produzione ed epidemie. Ma vediamo più da vicino, cercando di comprendere come era composto questo piccolo Feudo, e quali furono i feudatari che nei secoli lo governarono. Nel lungo periodo feudale inizialmente San Morello era inserito nella contea di Cariati, infeudato a Gentile Sangiorgio (1305), come peraltro si evince dalle note del Gradilone: «[…] Morto Matteo e consolidatasi la monarchia angioina, come si desumerebbe dal Notamento ex registris Caroli II, Roberti et Caroli Ducis Calabriae a cura di C. De Lellis (21), la signoria di Cariati insieme coi casali di Motta, Scala, San Maurello, Terravecchia […] fu ereditata dal figlio. […] Riso De Riso, nel 1300 aveva ottenuto in feudo la terra di Melissa, ma sembra che la medesima fosse presto ritirata, essendone investito Boamundo de Cariati, e, morto costui senza figli, Gentile di San Giorgio (51) di Salerno, che nel 1305 risultava signore di Cariati Casabona, Motta, Scala, San Maurello, Lensaco Vecchia, Verzino, Scarpizzati (Calopezzati), Caccuri, e possessore d’una proprietà a Rossano» (3).

Riguardo a Gentile Sangiorgio conferma la si riscontra anche nelle note di Ferrante Della Marra che così scriveva: «Hebbe in Capitanata S. Nicandro col feudo di Branca, & in Calabria anche Cariati, Casabuono (Casabona), Motta, Scala, S. Maurello, Lensaco Vecchio, Francavilla, Vertini (Verzino), Scapizzati (Calopezzati), con i feudi di Terenzia (Cerenzia), di Cacuzzio (Caccuri), e di Rossano […]» (4). Sempre dalle note di Della Marra sappiamo anche che barone di San Morello fu Pietro di Sus e che questi morì nel 1326. Dopo la morte gli succedette la figlia Tomasa «maritata à Tomaso d’Aquino figliuolo di Berardo Conte di Lorito, e senza haverli generato figliuoli se ne morì l’anno 1333, onde lo Stato suo ricaduto alla corona fù da Rè Roberto conceduto alla Regina Sancia e così la casa di Sus in minor spatio di 70 anni nel Regno totalmente s’estinse» (5). 

Nel 1399 per volere del re Ladislao Durazzo un certo Malena Stefano beneficiò della concessione della bagliva della Motta di San Morello con facoltà di poter disporre di una propria barca e d’una vecchia sciabica alla marina di Rossano (6).

Ai tempi della Regina Giovanna d’Angiò Durazzo, insieme ad altri possedimenti, tra cui Rossano, Scala, Caloveto, Crosia, Cerenzia, Mesiano, Briatico, Rocca di Neto, Sacconio e Cariati, per concessione della stessa Regina, San Morello, nel 1417, passò nelle mani di Polissena Ruffo, principessa di Rossano e contessa di Corigliano e Montalto, rimasta vedova del grande Siniscalco, Giacomo de Mailly. Seguirono poi Covella Ruffo, contessa di Montalto, Marino Marzano Ruffo, principe di Rossano e Conte di Montalto al quale Rè Ferrante confiscò i possedimenti compreso il Feudo di San Morello che così si ritrovò a far parte della Baronia di Pietrapaola avente come feudatario il Cavaniglia, come si deduce dalla nota del Gradilone che pertanto riporta: «Ma indubbiamente il notevole apporto dei Rossanesi alla campagna d’Otranto va attribuito all’autorità esercitata dal Cavaniglia in loco, avendovi ottenuto dal re Ferrante diversi beni, già di appartenenza del principe Marino Marzano, ed essendo stato investito dallo stesso monarca della signoria di Cropalati, Caloveto, Crosia, San Morello e della terra di Pietrapaola» (7).

Ancora da Andrea Pesavento riusciamo ad acquisire altre informazioni, alquanto articolate e riferite ad un “avvenimento tragico”, risalenti al periodo aragonese, che si riportano integralmente, permettendoci così di avere di San Morello un quadro sinottico molto interessante del suo passato feudale. «Nel marzo del 1446, al tempo del re Alfonso d’Aragona, la Regia Curia esaminò in Cosenza alcuni testimoni di San Maurello. L’università di San Maurello infatti, si rifiutava di pagare le nuove collette, cioè i tributi imposti dai nuovi dominatori, ritenendole troppo esose, adducendo che in passato essa aveva goduto di un trattamento migliore, come dimostravano le testimonianze e le prove dei pagamenti.

Le dichiarazioni dei vari testimoni gettano luce sia sul passato feudale che su un fatto tragico situabile tra la fine del Trecento ed i primi anni del Quattrocento. In quel periodo la Calabria fu funestata dalle lotte per la successione al trono di Napoli tra le soldatesche di ventura di Carlo III di Durazzo, e poi del figlio Ladislao, e quelle di Luigi I d’Angiò, e poi del figlio Luigi II. Durante queste guerre la motta di San Maurello fu messa a ferro e fuoco e data alle fiamme. I testimoni chiamati a Cosenza a testimoniare sotto giuramento dichiararono che, proprio a causa di questo evento che aveva colpito duramente la popolazione, l’università aveva ottenuto la diminuzione dei tributi per facilitare il ripopolamento dell’abitato. Dalle testimonianze risulterebbe che la distruzione di San Morello sia avvenuta nell’estate 1404, quando il re Ladislao scese con l’esercito in Calabria per assalire Nicolò Ruffo e i suoi seguaci, passati dalla parte angioina.

Il 7 marzo 1446 in Cosenza presso la Regia Curia iniziarono le testimonianze sotto giuramento di alcuni abitanti a favore della università di San Maurello. Il primo testimonio fu Antonio de Felis, dell’età di circa sessanta anni, della “Terra” di San Maurello, il quale affermò che l’università di San Maurello al tempo di re Ladislao, […], pagava tre once ed un tarì, “ma di poi che fo arsa”, non pagò mai più che tarì dieci per colta. Il De Felis affermò inoltre che egli al tempo di re Ladislao aveva il compito di collettore delle imposte e fu anche sindaco per un anno e quando svolse questi incarichi non fece raccogliere mai più di dieci tarì per colta, che poi consegnava agli erari regi. Secondo questa testimonianza la distruzione di San Maurello avvenne al tempo di re Ladislao e la concessione della diminuzione nel pagamento dei tributi fu accordata agli abitanti a causa della distruzione subita.

L’università continuò a versare la nuova colta anche dopo, quando San Maurello fu in potere della contessa Polissena Ruffo, di re Luigi III d’Angiò, della regina Giovanna II e della duchessa Covella Ruffo. Durante tutti questi anni l’università versò agli erari sia feudali che regi solo dieci tarì per colta. Sempre in quel giorno un altro testimone di San Maurello, Foldericus Risulco di circa sessanta anni, dopo aver prestato giuramento, interrogato ribadiva quanto detto dal primo testimone, dichiarando che anticamente la motta di San Maurello “nante che fosse stata arsa” gli abitanti pagavano tre once per colta “ma poi che fo arsa” il re Ladislao fece la grazia riducendo la colta a dieci tarì. Furono poi esaminate a favore dell’università di San Maurello alcune apodisse (prove), che dimostravano che i cittadini nel passato avevano pagato agli erari solo dieci tarì per colta. Da queste risulta che anche negli anni successivi alla distruzione della motta permaneva il ricordo della antica distruzione, infatti più volte la terra è chiamata San Maurello de Arso.

In una apodissa (dimostrazione) in data 24 aprile 1440 il notaio Angelus de Crusia, erario della duchessa Covella Ruffo, dichiarava di aver riscosso dagli uomini e dalla università della motta di San Maurello per mano del sindaco Federico Consuleto in quell’anno terza indizione sei colte di tarì dieci per un valore totale di due oncie: “uncias duas de carlenis argenti boni et iusti ponderis sexanginta per unciam computatis ad rationem de tarenis decem pro qualibet collecta et pro apodixis dictarum collectarum tarenos duos et medium pecunia usualis”.

In un’altra Robertus de Oliverio de Cariati, erario della duchessa, il 12 agosto 1441 dichiarava di aver riscosso per le sei collette imposte e tassate di detta motta in quell’anno, quarta indizione, due oncie di moneta usuale a ragione di tarì dieci per ogni colta. Sempre il 22 agosto di quell’anno Petrillus Cicinus di Aversa, regio erario della provincia di Valle di Crati e Terra Giordana, aveva riscosso dall’università di San Maurello per mano del sindaco Roberto Bisigniano tre colte imposte dalla Regia Curia per un valore di dieci tarì per colta per un totale di una oncia.

Il 26 dicembre 1443 il regio commissario e erario di Calabria Gaspar Tallamauccha de Valencia riscuoteva una colta per il matrimonio della figlia del re Maria de Aragona dal sindaco di “Sancti Maurelli de Arso” a nome della università di dieci tarì cioè il valore di una colta. Lo stesso era avvenuto in precedenza quando per il matrimonio della figlia del re, Dianora de Rahona, Franciscus de Demmanico, regio commissario, aveva riscosso la stessa colta dal sindaco di San Maurello de Arso Antonio de Longobucco» (8).

Bibliografia

[1] A. GRADILONE, Storia di Rossano, Editrice MIT, Cosenza 1967, [nota 73], pp. 205-207.

2 Andrea PESAVENTO, San Maurello poi San Morello. Un piccolo paese, una lunga storia, in Archivio Storico di Crotone, www.archiviostoricodicrotone.it [Note: [II] TRINCHERA F., Syllabus Graecarum Membranarum, p. 139, [III], AMARI M. – SCHIAPARELLI C., L’Italia descritta nel “Libro del re Ruggero”, Roma 1883, p. 112, [IV] RUSSO F., Regesto, 5253, 5293].

3 A. GRADILONE, Storia di Rossano, Editrice MIT, Cosenza 1967, [note (21) Cfr. Arch. Storico Napoli, p. 252; (51), p. 271].

4 Ferrante DELLA MARRA, Discorsi delle famiglie estinte, forestiere, o non comprese ne’ Seggi di Napoli, Imparentate con la Casa della Marra, Appresso Ottavio Beltrano, Napoli 1641, pp. 363.

5 Cfr. Ferrante DELLA MARRA, Ibidem, p. 409.

6 Cfr. A. GRADILONE, Ibidem, p. 276.

7 A. GRADILONE, Ibidem, nota (22) p. 313.

8 Andrea PESAVENTO, San Maurello poi San Morello. Un piccolo paese, una lunga storia, in Archivio Storico di Crotone, www.archiviostoricodicrotone.it [(Fonti Aragonesi, I, pp. 59-60)].

(foto di Rita Fiorani)

Franco Emilio Carlino
Autore: Franco Emilio Carlino

Nasce nel 1950 a Mandatoriccio. Storico e documentarista è componente dell’Università Popolare di Rossano, socio della Deputazione di Storia Patria per la Calabria e socio corrispondente Accademia Cosentina. Numerosi i saggi dedicati a Mandatoriccio e a Rossano. Docente di Ed. Tecnica nella Scuola Media si impegna negli OO. CC. della Scuola ricoprendo la carica di Presidente del Distretto Scolastico n° 26 di Rossano e di componente nella Giunta Esecutiva. del Cons. Scol. Provinciale di Cosenza. Iscritto all’UCIIM svolge la funzione di Presidente della Sez. di Mirto-Rossano e di Presidente Provinciale di Cosenza, fondando le Sezioni di: Cassano, S.Marco Argentano e Lungro. Collabora con numerose testate, locali e nazionali occupandosi di temi legati alla scuola. Oggi in quiescenza coltiva la passione della ricerca storica e genealogica e si dedica allo studio delle tradizioni facendo ricorso anche alla terminologia dialettale, ulteriore fonte per la ricerca demologica e linguistica