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Parrarə è arta lèggia

4 minuti di lettura

di Martino Rizzo

«Parrarə è arta lèggia», quanta saggezza è racchiusa in questa antica massima rossanese alla quale corrisponde l’altra «a vucca è naricchizza!» Principi che trovano il loro fondamento nella sapienza popolare, filosofia di vita di cui purtroppo i libri di storia del pensiero non parlano.

Se uno riflette sul significato di«Parrarəè arta lèggia», quindi che parlare è un’attività leggera, facile, adatta a tutti, vengono subito in mente i tanti affabulatori, gli imbonitori che spossanole persone con discorsi interminabili che in realtà sono solo una sommatoria di parole con dietro il nulla, in quanto privi di basi solide e con argomenti affrontati senza avere alle spallestudi, esperienzee ragionamenti. Le difficoltà poi si presentano quando dal dire bisogna passare al fare, mentre nel parlare basta dare fiato alla bocca, mettere in fila il suono di belle parole per fare un’ottima figura. Come esempio si può pensarea facebookche è diventato il palcoscenico ideale del parlare virtuale, in cuitutti si sentono in grado di disquisire su tutto come se avessero fattoanni e anni di approfondimenti sugli argomenti che trattano, come se loro fossero in grado di realizzare tutte le cose di cui dibattono. E poi come non pensare a qualchepiccolo tribuno locale, a qualche politico? Un buon politico deve innanzitutto essere un buon parlatore, uno per il quale «a vucca è naricchizza», perché per lui le parole sono una ricchezza in quanto possono divenire fonte di consensi. D’altra parte meglio parlare che lavorare in quanto «s’ ‘a fatigafussa bona l’ordinassari i merici», cioè se il lavoro facesse bene alla salute verrebbe prescritto da parte dei medici. Ma così non è infatti «a fatiga è rarica ‘e morta», il lavoro è la radice della morte.

Per fortunai veri «scarpe grosse e cervello fine» erano soliti commentare i discorsi dei parolai con «n’e’sentutu‘e si frischj e piche!» che, detto con altre parole, significa che ne abbiamo udititanti di questi fischi di gazza che ormai non ci incantano più. Però qualcuno che restava incantato c’è sempre stato e sempre ci sarà.

Com’è noto i proverbi sono delle massime nate dall'esperienza di tutti i giorni,che contengono consigli esplicitati con metafore e similitudini, raccontatiin formasintetica,veloce, efficace e soprattutto in modo da esserefacilmente ricordati.Riassumono la saggezza popolare e trasmettonoquella“cultura” che nata dal basso diventa poipatrimonio culturale collettivo.Ogni comunità ha i suoi proverbi e spesso lo stesso proverbio si ritrova in molte contrade, anche se declamato con dialetti diversi. A Rossano c’è chi ne ha contati più di mille, figli di anni e anni della sapienza del popolo, che magari era affamato, ma che comunque riusciva a non perdere la fantasia necessaria a racchiudere in poche parole le esperienze della vita.Di questi mille nessuno ne conosce gli autori, comunque certo è che fanno parte della tradizione culturale rossanese.

Benedetto Croce definiva i proverbi come «monumento parlato del buon senso, la sapienza di tutte le età, la sapienza del mondo di cui tante volte è stata lodata l'incrollabile saldezza».

Per restare nel mondo del sociale è lapidario un altro proverbio rossanese secondo il quale«quanni u culo ha visto a cammisa ha ditti: mò m’aviti e chiamare don culo».

Il “don” non veniva dato a tutti, ma era riservato alle persone di una classe sociale superiore e a quelli che, a prescindere dalla classe sociale, col lavoro, con una vita integerrima si erano guadagnati il rispetto degli altri.Persone che erano solite portare la camicia in un’epoca in cui non tutti se la potevano permettere. Pertanto il “don” era molto ambito e l’ignorante, solo perché era diventato ricco e poteva anche lui disporre delle camicie e non più della sola maglia di lana fatta in casa,si sentiva in diritto di pretendere il “don”, a prescindere dalla considerazione che la gente aveva di lui.Oppure, per restare ai tempi di oggi, solo perché una persona riesce a fare qualche ricerca su Google si sente esperto su tutto, in grado di disquisire di tutto. In questo caso la camicia è rappresentata da Google.Queste situazioni possono verificarsi perché «i mappine su’ fatte tuvagghje e rituvagghje su fatte mappine», insomma gli strofinacci sono diventati tovaglie e le tovaglie strofinacci. Un subbuglio, un ribaltamento di ogni criterio e logicain un mondo dove qualcuno ha«saputi rirə i patrennosti», ha detto le “preghiere” giuste e pertantoè stato premiato diventando tuvagghje. E una volta diventato tovaglia “sordi fani sordi e perucchie fani perucchie”.

Diceva Miguel de Cervantes: «Non v’è proverbio che non sia vero, perché tutti contengono sentenze tratte dall’esperienza, madre di tutto il sapere».Inoltre come non intravedere la pregnante ironia presente nei toni scherzosi di questi aforismi?Queste “perle di saggezza”sono diventate insegnamenti preziosi per la vita di tutti i giorni e riescono a tramandare e far rivivere ancora oggi la concretezza dell’antica saggezza popolare. Appartengonoperciò al patrimonio storico-culturale-identitariorossanese.

I proverbi rossanesi sono veramente tanti e quelli citati rappresentanosolo un piccolissimo assaggio del repertorioche la tradizione ci ha consegnato,con la speranza che prima o poi non ci si limiti a elencarli ma vengano catalogati per grandi tematiche, sistematizzati e approfonditi nelle loro radici storiche e sociali.


Storie d'Altri tempi è un progetto dell'Eco dello Ionio e dell'associazione Rossano Purpurea, nato per costruire un racconto corale di memorie cittadine tra Corigliano e Rossano. I contenuti sono frutto di un patrimonio orale di ricordi, o di ricerche storico- antropologiche, per lo più inedite, che gli autori hanno accettato di condividere con noi. Una narrazione unica, antica e nuova allo stesso tempo, della nostra identità.

Redazione Eco dello Jonio
Autore: Redazione Eco dello Jonio

Ecodellojonio.it è un giornale on-line calabrese con sede a Corigliano-Rossano (Cs) appartenente al Gruppo editoriale Jonico e diretto da Marco Lefosse. La testata trova la sua genesi nel 2014 e nasce come settimanale free press. Negli anni a seguire muta spirito e carattere. L’Eco diventa più dinamico, si attesta come web journal, rimanendo ad oggi il punto di riferimento per le notizie della Sibaritide-Pollino.