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Don Ciccio, il cinema Italia e la storia della “settima arte” a Rossano

4 minuti di lettura

Di Gennaro Mercogliano

Rovistando nelle stanze della memoria o per meglio dire nel cassetto dell’anima, così come l’ottima e cara Alessandra ci suggerisce di fare, ritrovo la cara immagine di mio padre e, insieme a lui, la creatura che egli amò d’un amore così profondo da dedicarle l’intera sua vita: il Cinema Italia.

Tutti a Rossano ricordano Francesco Mercogliano, che amabilmente chiamano ancora don Ciccio. Quando i vecchi habitués m’incontrano, parlano della sua generosa attività di esercente che faceva cinema quasi solo per il gusto di farlo.

Don Ciccio, infatti, offriva gratuitamente lo spettacolo a chi non se lo poteva pagare, sollevando le classi più umili dal disagio di una esistenza deprivata del piacere di una avvincente visone, diciamo pure d’una emozione che desse una spinta alla quotidiana necessità di sbarcare il lunario. Così il Cinema Italia fu il cinema del popolo per antonomasia. E tale rimane nella memoria di quanti recano ancora negli occhi le praterie del West di Sergio Leone con le musiche di Ennio Moricone, le avventure di John Wayne, Gregory Peck, Rock Hudson, Julia Adams, le imprese di Spartacus, di Sansone, di Maciste, nei film in costume, e le proiezioni in bianco e nero de “La ciociara” e del neorealismo italiano.

Probabilmente anche don Ciccio, ripetendo quel munifico gesto, colmava all’infinito alcune sue dolenti privazioni all’ingresso della Sala Roma, uno dei primi cinema della città, sorto in locali sottostanti l’orto del seminario arcivescovile e gestito, in epoca antecedente alla guerra, dall’avvocato Romano e da Cesare Scaramuzza, persone che mio padre nominava sempre con rispetto e ammirazione per la loro qualità d’impresari.

Rossano, consueta anticipatrice di ogni innovazione e progresso, aveva svolto un ruolo pionieristico  anche nell’ambito cinematografico.  Il nastro di celluloide, infatti, “i serpi di Laocoonte”, come li chiamava Gozzano, avevano fatto la loro apparizione già nel 1909 in Piazza SS. Anargiri, pochi anni dopo l’invenzione della “settima arte” nel 1895 ad opera dei fratelli Lumière. In un angusto locale a pianterreno del Palazzo Berlingieri era sorto, su iniziativa del cavaliere Smurra, il Cinema Radium; e questo aveva spianato la strada a tutte le successive imprese dello stesso genere. L’antico Teatro Paolella divenne il Nazionale ad opera di  Luigi Vittipaldi, il quale diede vita anche al Traforo, un locale di più ampia portata e capienza, situato poco oltre il tunnel che conduce alla Via G.Rizzo, mentre allo Scalo aprì i battenti il  Margherita di Mariano Aloe.

La preistoria del Cinema Italia è legata a quella del Supercinema, fondato da Antonio Ruggeri, il quale, giunto a Rossano, aveva aperto il Ferrini, intitolato all’insigne giurista e filantropo Contardo Ferrini, allievo di don Bosco, al quale tra l’altro era intitolato il cinema all’aperto, l’Arena Don Bosco, sita nel cortile della scuola elementare di San Domenico.

Il Supercinema assorbì il Ferrini sotto la stessa gestione del Ruggeri che lo allocò nella rimessa di palazzo Toscano Mandatoriccio, il cui spazio esterno fu adibito ad Arena per consentire le proiezioni all’aperto durante l’estate.

Nel 1954 il Supercinema divenne il Cinema Italia per effetto della nuova denominazione di sapore patriottico che Francesco Mercogliano diede all’impresa, avendone acquistato i locali da Tommaso Orlando e divenendone proprietario e gestore. Nella gestione mio padre associò l’intera famiglia e ciascuno di noi diede il contributo che poté: mio fratello Pietro, mia madre e le mie due sorelle , Concetta e Rosalba, e naturalmente io. Sicché, all’età di quattordici anni, mi trovai immerso in quel paterno bene interiore, condividendo con lui una passione che rimane in me sempre viva. Parimenti vivo rimane in me il ricordo degli amici di quegli anni verdi, tra i quali mi piace fare i nomi di Giovanni Rosito, Luigi Nigro, Donatello Chinicò, Paolo Bonaccorsi, Giovanni Forte, Domenico Martire. E, soprattutto, di Marcello Lavorato, che partecipò attivamente alla programmazione e che, formatosi da noi, divenne poi il direttore del Cinema Teatro San Marco.

Così il Cinema Italia fu anche scuola di vita e d’amicizia; il luogo elettivo della nostra adolescenza, il primo approccio ai colori e agli odori del popolo. Più intimamente fu il primo nostro avventuroso immergerci in una realtà spettacolare sulla quale si venne modellando una passione e il relativo senso estetico. E con esso prese primitiva forma la nostra stessa educazione letteraria, per quanto di letteratura, italiana e straniera, veniva traducendosi in cinema, vale  a dire in visione accattivante e spettacolare capace di incidere un solco profondo nell’anima.

Essendo il cinema l’espressione artistica più frequentata e diretta del suo secolo, al cinema toccò legarsi, con implicazioni interdisciplinari, ad ogni altra espressione dell’arte. Ed alla storia stessa, che esso interpretò criticamente nel suo convulso scorrere e concretizzarsi nelle forme della politica, che il cinema condivise o avversò in ragione dei tempi e della individuale coscienza di chi era chiamato a scriverlo e a sceneggiarlo, a produrlo  e a interpretarlo.

Il Cinema Italia fu tutto questo per noi fino a quando ebbe vita insieme alle altre attività del Centro Storico. Con l’inarrestabile esodo degli abitanti verso lo Scalo e con l’apertura, negli anni settanta, del Cinema Teatro San Marco (la cui bella fabbrica risulta oggi rimaneggiata e adibita anche a centro commerciale), tutto quel mondo dorato di umanità e d’affetti, col venir meno dell’utenza, gradualmente svanì.

Un ultimo sussulto teatrale il Cinema Italia lo ebbe nel 1991, allorquando, ad opera di una compagnia di studenti, compresi i miei figli Achiropita e Francesco, diretti da Pietro Vulcano e Imma Guarasci, fu allestita con successo, la rappresentazione del “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo.

Il Cinema Italia è ancora là in attesa di restauro, affidato a mio figlio Francesco, che reca con onore il nome del nonno. Al quale dovrebbe essere intitolata la via sulla quale insiste l’edificio: la Via Prigioni, che di prigioni non ha più nulla e che invece soprattutto segnala la presenza del cinematografo come il piccolo Cinema Paradiso di Rossano e delle memorie che custodisce.


Le foto di questo capito di "Storie d'Altri tempi" sono di Martino Rizzo


Storie d'Altri tempi è un progetto dell'Eco dello Ionio e dell'associazione Rossano Purpurea, nato per costruire un racconto corale di memorie cittadine tra Corigliano e Rossano. I contenuti sono frutto di un patrimonio orale di ricordi, o di ricerche storico- antropologiche, per lo più inedite, che gli autori hanno accettato di condividere con noi. Una narrazione unica, antica e nuova allo stesso tempo, della nostra identità.

Redazione Eco dello Jonio
Autore: Redazione Eco dello Jonio

Ecodellojonio.it è un giornale on-line calabrese con sede a Corigliano-Rossano (Cs) appartenente al Gruppo editoriale Jonico e diretto da Marco Lefosse. La testata trova la sua genesi nel 2014 e nasce come settimanale free press. Negli anni a seguire muta spirito e carattere. L’Eco diventa più dinamico, si attesta come web journal, rimanendo ad oggi il punto di riferimento per le notizie della Sibaritide-Pollino.