di LENIN MONTESANTO Alea iacta est. Come disse probabilmente Cesare, nella notte del 10 gennaio del 49 a.C., passando il Rubicone e, quindi, violando apertamente la legge che proibiva l’ingresso armato dentro i confini dell’Italia. Si apriva in quel momento la seconda guerra civile in uno dei passaggi cruciali della Roma classica. Allo stesso modo, certo
mutatis mutandis, il dado sembra esser ormai tratto nella pentola del brodo politico rossanese.
Ernesto Rapani, leader calabrese dei Fratelli d’Italia, ha ormai passato l’immaginario Rubicone locale. Si avvia, armato di buona volontà e voglia di ascoltare, verso piazza SS.Anargiri. E lo fa violando anch’egli apertamente più d’una legge non scritta nelle dinamiche politiche bizantine, soprattutto in quella che fu la grande e granitica famiglia del centro destra rossanese degli ultimi 25 anni, consolidatasi attorno alla figura carismatica e criptica di Giuseppe Caputo. Nonostante gli strascichi d’inverno, da qualche giorno è Primavera. E pare che Rapani abbia sciolto definitivamente (forse lo ufficializzerà a breve) ogni riserva sulla sua candidatura a sindaco, nelle amministrative del 2016. Una somma di indiscrezioni lo confermano: non ha sortito alcun effetto sperato (almeno in qualche ex quartier generale) la fitta rete di ambasciatori, con e senza pena a seguito, che in queste settimane hanno tentato tutte le alchimie diplomatiche possibili per trasformare il ferro di Rapani in oro da fondere su corone altrui. L’ex assessore delle stagioni auree del buon governo del centro destra pare abbia declinato gli inviti alla magia, preferendo finanche alla scienza o all’aritmetica (ed alla solitudine) dei numeri primi, il fascino dell’opportunità e l’emozione della possibilità. Quella di poter interpretare, aprendosi a tutte le istanze sociali e politiche cittadine, l’esigenza trasversale di far cambiare aria, passo, facce, metodi, contenuti e soprattutto orizzonti al governo della cosa pubblica locale dei prossimi anni. Ci riuscirà? Forse in questo sforzo, che non è inane, potrebbe risultare determinante, senza paradossi né fantapolitica, lo stesso centro sinistra locale. O, meglio, le sue tante anime, per lo più vittime di veti incrociati ed intrappolate da decenni ormai in una variante bizantina della Sindrome di Stoccolma rispetto alla figura storico-amministrativa di Caputo, spesso ingigantita dal suo oggettivo ed utile decisionismo (circostanza che non permette di escludere mai l’ipotesi di un ritorno del leader indiscusso).
In questo quadro simbolico (e la politica è fatta anche di simboli: Le Bon, Freud e soprattutto Jung docent), Rapani potrebbe essere visto ed in parte usato, anche e soprattutto dal centro sinistra, senza alcuna ironia, come l’unico piede di porco disponibile per smontare grimaldelli non del tutto arrugginiti. E su questa eventualità non remota, e che lo stesso Rapani probabilmente ha preso in considerazione, potrebbe scatenarsi,
ovviamente in fase di ballottaggio, la stessa enfasi popolare tipica dell’epica esaltazione dei tirannicidi nella storia classica, tramandataci da Sofocle a Plutarco ad Aristotele e spiegata benissimo in un famoso passo del teologo medioevale tedesco Manegoldo di Lautenbach: «È il re divenuto tiranno il primo a rompere il patto. Nessuno può accusare il popolo (che ha il diritto di liberarsi) visto che il re è stato il primo a tradire la fiducia pattuita”. Sic! Ne vedremo delle belle da qui a qualche mese. O forse prima. Sempre che Antoniotti, da capace e forte sindaco in carica passerà presto ad ufficiale candidato alternativo a Rapani che, come è noto, sta tessendo la sua rete sin dalla sottratta candidatura nel 2011. E sempre che Caputo deciderà di anticipare i tempi, rompendo anch’egli il silenzio. In una direzione o nell’altra.
Tutto intanto si sta muovendo. Finanche la formazione delle liste. Sin da ora. Con due patate bollenti che di fatto Rapani ha però imposto nell’agenda politica dei prossimi mesi: da una parte, l’esigenza di tenere comunque unito il centro destra; dall’altra, la disponibilità più volte dichiarata in passato, a confrontarsi, se necessario, nelle primarie.