Sibaritide-Pollino, qui l’agricoltura vale più del turismo: ecco i dati ISTAT
Non folklore né turismo da vetrina: l’agricoltura è la vera infrastruttura economica della Sibaritide-Pollino. Dove arretra il presidio agricolo, avanza l’abbandono. E i dati ora lo certificano con chiarezza

CORIGLIANO-ROSSANO - Nella Sibaritide-Pollino l’agricoltura non è folklore, né prodotto turistico da vetrina, ma vera infrastruttura economica. Lo confermano i dati del Rapporto “Montagne Italia 2025” presentato da UNCEM a Cheese — numeri che calati sul territorio del nord-est raccontano una realtà più netta di quanto la politica abbia mai avuto il coraggio di dire: qui il valore generato dalle imprese agricole supera, in diversi comuni interni, perfino il turismo.
Solo Corigliano-Rossano censisce 3.980 imprese agricole (dato ISTAT 2020), quasi un quarto dell’intera provincia di Cosenza. Seguono Cassano (1.525), Castrovillari (1.014), Saracena (566), Spezzano Albanese (544), Cerchiara (431) e Rocca Imperiale (428). Una densità impressionante, largamente superiore alla media calabrese, che conferma come la Sibaritide-Pollino non sia “periferia agricola”, ma asse produttivo strategico a livello nazionale.
Ecco perché qui (e solo qui), in questo territorio della Calabria avrebbe senso che il distretto agroalimentare abbia una spinta forte infrastrutturale e logistica. Che sia supportata da una piastra del freddo, da spazi di stoccaggio, da un aeroporto merci/commerciale e da un mercato federativo forte che inglobi non solo le derrate prodotte in tutta la Calabria ma anche quelle dei distretti viciniori, dal Metapontino per finire al Vallo di Diano. È qui la lungimiranza, è qui la visione, è qui la capacità di saper investire soldi pubblici, non più a pioggia ma in infrastrutture idonee e utili che stimolino la cooperazione tra produttori.
La doppia identità è netta: pianura ad alta intensità ortofrutticola e agrumicola (Clementine IGP, olivo) da Sibari a Rossano, montagna foraggera, vitivinicola e zootecnica sui versanti del Pollino e della Sila Greca. È esattamente quel modello di agricoltura “ecosistemica” citata da UNCEM: non solo produzione, ma equilibrio territoriale. Perché quando il presidio agricolo arretra, non torna la natura incontaminata — torna il bosco che avanza. Che non è il bosco come lo intendiamo noi ma la vegetazione incolta, infestante che spesso provoca danni al terreno stesso. E i numeri lo dimostrano.
Dicevamo, non wilderness romantica — ma abbandono, cinghiali, frane, perdita di economia reale. La Sila Greca e i comuni interni da Amendolara ad Alessandria del Carretto, da Terranova da Sibari a Frascineto fino a San Lorenzo Bellizzi, sono già frontiera di questo delicato equilibrio. E sono anche quei territori in cui gli incendi estivi, soprattutto negli ultimi anni, sono tornati a colpire prepotentemente.
Ecco perché il Rapporto indica le Associazioni fondiarie (ASFO) come la vera innovazione italiana. Oggi attive soprattutto al Nord, assenti in Calabria: cooperative di comunità che riaggregano piccoli appezzamenti, ricostruendo suolo attivo dove la frammentazione impedisce sviluppo. Applicarle a Pollino e Sila Greca non è utopia: è urgenza.
Il Rapporto lo dice chiaro: «l’agricoltura di montagna non è fotografia romantica né museo etnografico». È infrastruttura economica, presidio territoriale, demografia viva. È ciò che decide se i comuni interni restano “comunità” o diventano macchia.
Nella Sibaritide-Pollino quella soglia è già qui. E questa volta i dati parlano più forte della retorica.