1 ora fa:Amministrative a Co-Ro, presentata la lista della Lega a sostegno di Straface
22 ore fa:Mandatoriccio, residenza per anziani di località Savuco: concluso l’iter burocratico
2 ore fa:Viaggio tra i Feudi della Sila Greca - Il Principato di Campana, Regno indiscusso dei Sambiase per oltre un secolo
56 minuti fa:Accordo Quadro Anci-Conai 2020-2024, giornata di approfondimento alla Provincia
21 ore fa:Al Polo Infanzia Magnolia la festa della mamma si celebra con una caccia al tesoro alla scoperta della mitologia
19 ore fa:La Vignetta dell'Eco
3 ore fa:Cosa si dice nella Calabria del nord-est: una settimana di notizie
15 ore fa:La pioggia bagna le piazze di Straface e Stasi: ma la campagna elettorale è già un bollore di attacchi
19 ore fa:La Diocesi di Rossano Cariati si prepara alla 50^ edizione delle Settimane sociali dei cattolici
21 ore fa:A Schiavonea un convegno sul tema dell'educazione alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e servizi

Autonomia differenziata, non solo Sud a rischio. La teoria di Mingrone: «Distruggerà il Paese e le classi sociali più deboli»

4 minuti di lettura

CORIGLIANO-ROSSANO – Dopo il via libera del Senato al disegno di legge che detta disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata si attende, ora, il parere della Camera. Un provvedimento molto contestato che rischia di dividere l’Italia, aumentando il divario tra le regioni, con gravi ripercussioni sull’economia e sul welfare – già cigolante - delle regioni del sud. Ma che cosa prevede il Ddl sull’autonomia presentato dal ministro leghista Roberto Calderoli? Prevede il riconoscimento, da parte dello Stato, alle regioni a statuto ordinario dell’autonomia legislativa ed economica sulle materie di competenza concorrente (Art.117, comma 3, Costituzione) e su tre materie di competenza esclusiva dello Stato con la possibilità di trattenere parte del gettito fiscale.

A fare chiarezza sulla questione, cercando di sensibilizzare i cittadini sui rischi nefasti di tale provvedimento, è Pietro Mingrone, medico e oggi anche consigliere comunale di maggioranza a Corigliano-Rossano tra le fila di Stasi, che ha seguito con interesse tutte le fasi del percorso che ha portato alla recente approvazione in Senato del Ddl.

«Il problema –afferma Mingrone - lo si può introdurre con una parola: concorrenza. È come se si trattasse di imprese messe su a fine di lucro. E questa esperienza ci è già nota con la sanità, laddove si è assistito alla regionalizzazione di gran parte delle attività sanitarie e del loro finanziamento. Ovviamente chi parte con migliori dotazioni, strutture e condizioni generali cerca di attirare presso di sé i pazienti: noi spendiamo quasi 300 milioni all’anno per far fronte alla migrazione sanitaria e purtroppo non abbiamo compreso il meccanismo».

«Questa concorrenza – spiega - estesa a tanti campi – sono 23 materie ma parliamo di qualcosa come più di 500 capitoli - non può che andare nella stessa direzione. Ciò vuol dire che l’autonomia legislativa, in materie come la sanità e la scuola, non farà altro che permettere un incremento del personale e l’attribuzione di emolumenti stipendiali aggiuntivi in quelle aree già virtuose, che offriranno salari migliori, possibilità di carriera e maggiore soddisfazione nello svolgimento della professione. Vedremmo scappare medici, insegnanti, pazienti ma anche studenti».

Un alto nodo da sciogliere riguarda le motivazioni alla base del Disegno di Legge: «Le regioni in lizza non spiegano il perché di tale richiesta di autonomia, soprattutto in campi assurdi come la Protezione Civile – icona lampante di solidarietà del nostro Stato – e l’ambiente. Che motivo potrebbe avere una regione di decidere autonomamente in materia di norme ambientali? Io una spiegazione l’ho fantasticata. Queste regioni, nonostante godano di una situazione migliore rispetto alla nostra in molti settori, vivono anch’esse il problema dell’emigrazione, soprattutto di attività produttive. C’è una deindustrializzazione importante e, dunque, una perdita di posti di lavoro. Questo fa tremare le poltrone. E allora: non è che questa misura potrebbe consentire loro di togliere qualche onere alle industrie produttive, magari cercando di modificare le norme sul trattamento dei prodotti inquinanti per trattenere in quelle aree le industrie e le imprese che scappano? Argomentazioni e temi sui quali i cittadini dovrebbero iniziare seriamente ad interrogarsi».

 A queste riflessioni vanno poi aggiunte due questioni cruciali relative al Ddl: la possibilità di fare richiesta di autonomia delle sole regioni virtuose e la questione del gettito fiscale. «Sul gettito fiscale – chiarisce - è necessario sviluppare due tipi di ragionamento. I soldi che entrano nelle casse comunali di Milano, ad esempio, servono ai servizi generali ma anche ad assistere la parte meno abbiente della società, la povertà. Lo stesso principio dovrebbe essere generale, dello Stato - e lo è secondo la Costituzione che prevede il principio di solidarietà economica e sociale. Poi però ci sono i conti generali, e questi dicono che verrebbero a mancare allo Stato (se Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna dovessero diventare autonome) circa 113 miliardi all’anno, 190 se si aggiungono i contributi previdenziali. Detto questo, come farà lo Stato a fronteggiare l’osso duro del debito pubblico, a cui si aggiungeranno i rimborsi del Pnrr? Uno Stato che perde questa parte di gettito comincerà a perdere anche credibilità agli occhi degli investitori; meno credibilità che vorrà dire aumento dei tassi d’interesse e conseguente rischio di default».

Questo aspetto apre ad una riflessione sull’opportunità generale dell’approvazione del Ddl. Aldilà della disarticolazione dei servizi, è bene capire che questo disegno di legge potrebbe compromettere la tenuta generale dello Stato, il quale rischia di impoverirsi e perdere la sua funzione di garante per sé stesso e per le regioni con minore capacità fiscale.

Poi aggiunge: «Nel decreto uscito dalla discussione parlamentare ci sono un paio di punti che possono fare un po’ da salvaguardia. Innanzitutto il potere sostitutivo dello Stato che prima non esisteva. E poi la fantomatica norma che rimanda la delega degli argomenti che hanno afferenza ai Lep (Livelli essenziali di prestazioni) al momento successivo a quello della determinazione e valutazione finanziaria dei Lep stessi. Non dice “applicazione” però, e questo è un modo dialettico per far passare la cosa. Quindi è cambiato poco. Solo la modifica del titolo V potrebbe metterci in una qualche condizione di garanzia».

Il risanamento del gap tra le regioni resta, quindi, un’illusione che il racconto politico sfrutta abilmente a suo vantaggio. Sebbene, infatti, possano apparire come una garanzia di omogeneità, i Lep, di fatto, non eliminerebbero le differenze.

L’esortazione è, dunque, all’audacia. Secondo Mingrone bisogna avere il coraggio di fare conti trasparenti e di spendere i finanziamenti. Solo così potremmo sperare di recuperare il divario che ci allontana dalle realtà più virtuose del Paese. Il tutto, senza smettere di tenere acceso il riflettore sul tema appena affrontato!

Rita Rizzuti
Autore: Rita Rizzuti

Nata nel 1994, laureata in Scienze Filosofiche, ho studiato Editoria e Marketing Digitale. Amo leggere e tutto ciò che riguarda la parola e il linguaggio. Le profonde questioni umane mi affascinano e mi tormentano. Difendo sempre le mie idee.