Per una felice sobrietà dell’essere
Una decrescita sostenibile, per liberarsi dalle dittature del consumismo e riscoprire equilibrio e cura del sé
Giovanna ha 60 anni, rumena. Fa sacrifici da una vita intera per mantenere, da sola, cinque figli a cui non ha fatto mancare nulla. Vive di quanto può darle un lavoro manuale pieno di fatica e sacrifici, ma ha disseminato mille attenzioni e cure intorno a sé e quando mi racconta della sua famiglia i suoi occhi sono luce pura; la sua voce acqua fresca di montagna. Più volte mi sono fermata a pensare che quella è vera capacità di gioire.
Pepe Mujica, Presidente dell’Uruguay dal 2005 al 2010, ha sempre donato il 90% dei circa 8300 euro (in equivalenti pesos), vivendo largamente col restante, non rinunciando mai alla sua vecchia Maggiolino e a vivere in una piccola fattoria, lontano dai palazzi presidenziali.
Lucio Quinzio Cincinnato venne nominato dittatore mentre lavorava i suoi campi, appena il tempo di detergere il sudore. Condotto a Roma, svolse la sua missione politico militare e, ad appena sedici giorni dal suo trionfo, tornò alle sue terre.
Gli appartamenti papali del Palazzo Apostolico, che dal 1870 al 2013 ha sempre ospitato tutti i pontefici, non sono l’abitazione di Papa Francesco, che ha scelto 50 mq della Casa di Santa Marta, in una stanza non dissimile da tutte le altre, dove spesso consuma i suoi pasti con qualche ospite; quando esce, si muove per Roma con una Ford Focus del 2006; non di rado a piedi.
Angela Merkel (curiosamente nota col cognome del primo marito, ma all’anagrafe Angela Dorothea Kasner), figlia di un pastore luterano e di un’insegnante di inglese e latino, avviata brillantemente agli studi di matematica e fisica, era ben lontana da ambizioni politiche e dai cosiddetti prestigi e modelli di vita di quelle cariche si è sempre tenuta lontana. Anche lei abita in un appartamento ordinario dove vive da normale borghese.
Ad accomunare ognuno di questi piccoli brandelli di storie umane, catturati -col disordine a me congenito- da un improvvisato e personale repertorio di exempla che non segue criteri né di tempo né di rilevanza sociale, credo si possa individuare la sobrietà; una sobrietà felice, per dirla con il titolo di Pierre Rabbi, il cosiddetto Gandhi francese teorizzatore della decrescita sostenibile, che unisce preziosamente la sua voce al coro (ancora esiguo, in verità) di moniti contro stili di vita incentrati sul consumismo, su falsi valori e sulle nuove dittature che in tanti, inconsapevolmente, subiamo, arrivando così a tradire due valori cardine dell’essenza umana: spiritualità ed equilibrio.
La sobrietà non è, infatti, solo stile di vita esteriore, ma codice morale, atteggiamento dell’animo, scala di priorità etiche, capacità di discernimento. E’ la linea che delimita, sostanzia e arricchisce lo spazio che sta al di qua della materialità, delle apparenze, della perdita di controllo, degli eccessi, della rumorosità, della frenesia. Della vacuità, mi scappa da dire.
Non lontana dal concetto di μετριότης degli antichi Greci, essa trova la sua prima etimologia nell’essere antitetico rispetto ad ebbro, parola vicina, fosse anche solo per fonìa, alla ύβρις ellenica, che è esagerazione, tracotanza, superamento del limite di ciò che è umano; ubriachezza, appunto. Dell’animo, prima che del corpo.
Ieri, in un scritto intenso e prolifico, Vincenzo Piro su queste stesse colonne virtuali richiamava l’importanza dell’attenzione, della concentrazione, della cura, del silenzio. Chiavi attraverso cui l’individuo, la comunità stessa, possono accedere a ciò che di più creativo, elevato, ambizioso si possa immaginare.
Che dobbiamo andar di corsa, che non vi sia più tempo per fermarsi ad accarezzare l’umano e coltivare la spiritualità è causa ed effetto, al contempo, del nostro smarrimento collettivo. Quando presumiamo d’essere adulti maturi perché produciamo, guadagniamo e costruiamo finte case del benessere; quando pensiamo che la felicità nostra e di chi amiamo sia riposta nel poter avere o regalare cose elette a status simbols; quando barattiamo principi pedagogici con promesse di acquisti; quando ci sembra d’essere validi educatori perché inseriamo i nostri giovani in tappe di un percorso di vita modellato sulle curve di una pseudo crescita; quando pensiamo di essere donne e uomini affermati o realizzati e ci accorgiamo invece di non avere tempo per fermarci, interrogarci, ascoltarci, parlarci, guardarci allo specchio e l’un con l’altro… beh, allora quello è il momento in cui dobbiamo renderci conto che stiamo tradendo la nostra essenza, stiamo peccando di ύβρις, il nostro animo è, appunto, tracotante, arrogante nel suo debole e illusorio assalto al potere, sito in quel palazzo dei finti valori produttivi alla lunga di depressione, infelicità, vacuità colpevoli.
Se già Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus aveva richiamato l’importanza di un io consapevolmente sobrio, capace di opporsi all’ebbrezza dei consumi e combattere la sensazione che il nostro valore di persone possa dipendere dai beni materiali, Papa Francesco ha anche lui parlato di sobrietà felice nella sua Laudato si’, di una felicità che viene, principalmente, dalla libertà dal troppo, dall’accumulo e dalla riscoperta della profondità.
Lo psicanalista e biologo Jean–Guilhelm Xerri ha vinto il Prix 2019 de Littérature Religieuse con un testo intitolato “Prendetevi cura della vostra anima”. Ci lasciamo con le sue indicazioni, preziose quanto incredibilmente semplici: lentezza in primis la parola d’ordine della sua cura. L’invito è a non sballottare le nostre giornate da un’azione all’altra; a fare nutrire il nostro cervello dei momenti vuoti di transizione; a bilanciare correttamente tempo lavoro e vita personale; a liberarci dall’ansia degli acquisti compulsivi. Ma, soprattutto, a regalarci silenzio. Lontana, periodicamente, dai rumors social e sociali, la nostra vita saprà meglio attingere a quella spiritualità essenza e cardine dell’umano, che, con la naturalezza con cui l’acqua sgorga da una sorgente, regalerà la felice sobrietà dell’essere.