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La stanza, la ghianda e la felicità

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I momenti più belli di gioco con i bambini, tra bambini non sono mai quelli abitati da barbie ben vestite o macchinine ultratecnologiche, ma quelli in cui una zolla diventa focaccia, un ramo spada, una coperta pargoletto e un fangoso pollaio un castello stregato.  

Se guardo alla mia infanzia, ritrovo anche tanta noia e solitudine, pancia e gomiti a terra, mento in mano, a contare piastrelle del pavimento o solo a sentire le vibrazioni della terra.

Eppure la mancanza, la privazione, i tempi lunghi, proprio quelli che paiono più morti, sono quelli in cui la nostra mente e la nostra anima sono libere di attingere ad orizzonti di creatività e immaginazione vitale.

Oggi siamo tutti preoccupati per i ragazzi. Gioventù sospesa, vite interrotte. E questa condizione sembra da archiviare come parentesi, pausa insensata, ellissi spazio-temporale da considerare in tutto negativa, di cui lasciare vuote gli album dei ricordi. Da cancellare e riempire con un prima e un dopo.

Siamo poi certi che sia in tutto così?

Ovvio: gli abbracci degli amici, le feste rumorose, le gite della scuola, i gruppi stimolanti di danza e sport di squadra, i cinema saturi di respiri e pop corn, i baci rubati nel buio, i pub vitalmente saturi di oli fritti e aspettative, lo struscio di adolescenti fintamente indifferenti quanto in segreto ribollenti, i “mamma torno tardi”…  questi sì, sono interrotti. Per ora negati.

Ma guardiamo meglio dentro le mura di quella stanza troppo piccola; alleniamoci a vedere quel che offre. Considerato dal di fuori quello spazio, fa vedere solo pareti di cemento e tende socchiuse verso un mondo spiato con paura, nostalgia e rabbia. E se ci entrassimo in quella stanza? Non fisicamente. Sappiamo che spesso quelle soglie urlano privacy. Facciamo entrare il nostro respiro; regaliamo non solo play e cellulari per compensare quel che non c’è, ma sguardi nuovi e sorrisi rassicuranti, capaci di fare luce dove persistono buio o penombra. Costruiamo con loro, per loro, immaginari positivi e prospettive inedite.  

C’è un libro, Il codice dell’anima, che mi tiene compagnia da anni, sebbene troppo spesso lasciato a prendere la polvere, ma con una potenzialità pari a quella evocata dal suo autore in una delle immagini più belle che ci regala: la ghianda. James Hillman, analista junghiano, dice che essa è, rappresenta, l’immagine di cui siamo fatti: la nostra essenza, il nostro daimon platonico, ciò a cui siamo chiamati per realizzare noi stessi; quercia di domani che vive nel nostro inconscio da sempre e che negli anni fa capolino attraverso immagini, disegni, poesie, sogni, folgorazioni improvvise… più spesso attraverso quell’inquietudine e insoddisfazione che ci fa sentire mancanti e imperfetti, incompleti. Alla ricerca di quello che saremo “da grandi”, anche quando grandi lo siamo già, ma con la sensazione di non avere realizzato le nostre potenzialità. Forse perché neanche riconosciute.

La noia, la solitudine, il vuoto, quell’apparente senso di nulla, privazione e interruzione che viviamo oggi, se coltivato bene, può essere una grande opportunità per costruire strade e accendere luce su noi stessi. Per far sì che quel daimon si presenti alle nostre coscienze; a quelle dei nostri ragazzi.

Ho accompagnato tante generazioni verso la cosiddetta maturità, ma la maggior parte delle volte mi sono trovata davanti giovani immobilizzati di fronte alla necessità di scegliere una strada per il loro futuro; che alla domanda “cosa voglio essere”, “cosa voglio fare”, hanno lasciato rispondere alle statistiche dei giornali economici, ai suggerimenti di adulti preoccupati del lavoro più che della felicità, o a quegli immaginari sociali costruiti dalla società e introiettati, riguardo a figure, ruoli, posti presuntivamente capaci di garantire potere, prestigio, ricchezza. Felicità?

Questa -oggi lo so- può garantirla solo il riconoscimento della nostra immagine interiore, solo la cura della ghianda che ci abita. E riguarda noi, non altri, non la società, non quel percorso scontato di tappe e traguardi preconfezionati e consegnati, poco rispettosamente, ad una gioventù inconsapevole.

L’augurio, l’invito, allora, è che questa pausa, questa lentezza ritrovata, questa stanza apparentemente troppo stretta, possano essere il terreno più fertile in cui fare emergere la ghianda che è nei nostri adolescenti, perché possano essere querce solide e felici domani, anche grazie a queste primavere sacrificate.

Ma ciò sarà possibile solo se noi adulti, dalle diverse posizioni, li aiutiamo a dismettere lo sguardo del vittimismo e a coltivare positività e fiducia piena nella forza creatrice, rigeneratrice e di conoscenza interiore di questo tempo; forza che questa generazione potrebbe avere più delle precedenti, proprio grazie a quelle pareti solo apparentemente soffocanti delle loro stanze. 

Alessandra Mazzei
Autore: Alessandra Mazzei

Diploma classico, laurea in Lettere classiche a La Sapienza, Master in Pedagogia, insegue una non facile conciliazione tra bios theoretikos e practikos, dimensione riflessiva e solitaria, e progettualità concreta e socialmente condivisa. Docente di Italiano e Latino, già Assessore alla Cultura e Turismo di Rossano, impegnata in diverse associazioni socio-culturali, ma, prima e più di ogni altra cosa, mamma, felice, di Chiara Stella, Gabriele e Sara Genise. Ha grande fiducia nelle capacità dei giovani, degli studenti, di quelli che poi restano e di quelli che vanno pensando un giorno di tornare. Spera di poter contribuire, insieme a loro e ad amici ottimisti, alla valorizzazione di questa terra di cui sente da sempre la forza delle radici, accanto al bisogno di paesaggi culturali ampi e aperti. Ama la scrittura, che vive, al pari dell’insegnamento, come itinerario di ricerca e crescita personale, da coltivare in forme individuali e collettive.