di LUCA LATELLA E LENIN MONTESANTO Più che un’opportunità pare un disagio:
per le amministrazioni comunali dell’Area Urbana, il patrimonio montano sembra essere un peso. Le casse dei comuni sono quelle che sono, ed allora perché sprecare risorse per quella fascia montana così poco in vista? Partiamo subito col dire che
le due più grandi città della Piana di Sibari, Corigliano e Rossano, non si sono dotate di un moderno Piano di assestamento boschivo, lo strumento che costituisce la base per la programmazione delle azioni volte alla conservazione ed alla valorizzazione del patrimonio forestale di competenza comunale. Senza piano, quindi, non è possibile programmare alcuna azione di sviluppo e valorizzazione della montagna. Un territorio che, comunque, vanta sia a Rossano che a Corigliano, alcune zone abitate come Piana Caruso o Gallina. Da quanto ci spiegano i residenti, i governi cittadini che si sono succeduti nel tempo hanno messo in campo solo l’ordinaria amministrazione (tutta quella serie di lavori manutentivi semplicemente necessari) senza una reale programmazione. Molti ne fanno quasi una “questione morale” perché manca l’educazione, la cultura della montagna e, soprattutto, uno spiccato senso civico che va a rotoli ancor di più nei periodi in cui viene sfruttata maggiormente. Quindi per tre stagioni su quattro, dalla primavera (le allegre scampagnate) all’autunno (il periodo micologico e delle castagne), ci sono mesi in cui non è difficile vedere piccole discariche a cielo aperto. Insomma,
i comuni non investono, è vero. Ma non investe nemmeno l’imprenditoria che, poco attratta da quelle enormi potenzialità tutte da sviluppare, non sembra avere alcun interesse. Nessuna attrattiva, quindi nessuna struttura ricettiva (se si esclude l’unica presente a Ceradonna, nel comune di Rossano) quando, invece, si potrebbe iniziare a pensare di sviluppare tutta una serie di sport, anche a basso costo, come riportiamo a parte. A patto, però, che si lanci e pubblicizzi un messaggio chiaro – arcinoto per chi vive da queste parti, sconosciuto per chi vi transita o decide di passare le proprie vacanze in zona –:
poter passare dalla battigia a mille metri di altitudine in 20 minuti è un miracolo della natura che pochi territori al mondo possono vantare. I collegamenti esistono già (le statali 187 e 188) e sono pure panoramici; tuttavia chi viaggia sulla statale 106 non lo sa e non se ne accorge perché non vi è alcuna segnaletica di carattere turistico che spiega quel miracolo:
Corigliano o Rossano-Sila in 40 minuti. La montagna è lì, basterebbe amarla e rispettarla un po’ di più facendone tesoro.
SE L’ACQUA LA PORTIAMO dal mare IN MONTAGNA – Dagli sprechi su ciclo dell’acqua all’inutilizzo della montagna, il passaggio è brevissimo. Se è vero che a Rossano si registra uno dei paradossi più eloquenti: si porta l’acqua dal mare alla montagna (attraverso un acquedotto da Cona-Celadi alla Pantasima, con oltre 200 metri di dislivello). Un po’ come gli olandesi che, per secoli, hanno sottratto terra al mare. Ma qui all’inverso! Nella nostra ultima inchiesta sull’acqua abbiamo riferito di un 50% circa di dispersione idrica e di mancanza d’acqua nel centro storico (idem a Corigliano).
Ciò accade nonostante Rossano vanti ben 5 acquedotti adduttori realizzati (da metà 1800 fino all’ultimo di Tufarello anni ’80) e sulle reti di distribuzione della città alta siano stati investiti circa 6 milioni di euro negli ultimi 10 anni. Il problema forse sta nel fatto che negli ultimi 40 anni, dimenticandosi della montagna (e anche di due serbatoi mai usati: a Donnanna ed a monte del campeggio Marina), ci si è dedicati a riempire di pozzi lo Scalo (5 soltanto sull’attuale Viale De Rosis), nelle contrade (Petraro, Amica, Lacuna, etc), nelle campagne (Colagnati) più ulteriori serbatoi al mare (a Foresta).
Ogni pozzo significa pompe di sollevamento, utilizzo di corrente elettrica e bolletta per il comune e per i cittadini. Non sarebbe stato più intelligente guardare alla montagna ed usare, ad esempio, le fluenze superficiali dei torrenti Cino, Colagnati e Coserie, creando degli invasi ad hoc con potabilizzatori e sistema a caduta? Forse. Ma in un territorio che era famoso per i mulini prima e per l’idroelettrico poi, questa domanda e quindi il tentativo sarebbero dovuti essere più che spontanei per quanti hanno governato nell’ultimo mezzo secolo.