di MARTINA FORCINITI Le malattie non conoscono certo confini. E oggi, più di ieri, sarebbe necessario decidere se sia poi giusto che ognuno abbia la libertà di scegliere cosa accade nel proprio corpo. Perché
la salute, in fondo, è di tutti. E una buona medicina, lungi dall’essere quella sterile scienza che fa i conti con bisturi e camici immacolati, dovrebbe accogliere i valori di ognuno. Ed è così che, abbandonando l’idea di una salute sempre più preda di quelle logiche economiche e manageriali che si rincorrono fra reparti e corsie, nasce
Slow Medicine. Un’idea di cura sobria, rispettosa, giusta. Basata sull’attenzione alla persona e all’ambiente. È una storia che si differenzia da quella di qualsiasi altra associazione di categoria – ci spiega l'esperta
Mariangela De Vita (foto) della Condotta Slow Food Pollino – Sibaritide – Arberia - non fosse altro per quella sua priorità che vuole favorire la
piena interazione tra pazienti e medici, comunicatori e psicologici, istituzioni ed imprese. Che poi è il meccanismo inverso a quello che ha portato alla crisi del sistema sanitario attuale, con la sua organizzazione piramidale e tutto quel delegare la salute e, soprattutto la ricerca, all’industria farmaceutica che crea malattie per creare malati. Insomma,
un paziente informato è un paziente reso consapevole. Soprattutto se è vero – continua la De Vita – che
quella struttura gerarchica che finora ha spezzato la relazione tra medico e paziente sta crollando e venendo meno. La soluzione ideale è da ricercare, quindi, in
modelli olistici/integrati dove non solo il paziente, ma anche lo stesso medico deve prendere coscienza della nuova intesa che si vuole costruire. E che la salute passi anche dal cibo è una verità che già Ippocrate, con quel suo “Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo” aveva verificato. Così, mentre in questi giorni si rincorrono voci allarmistiche sul futuro dei formaggi senza latte (che poi, come ampiamente documentato proprio da
L’Eco con la sua inchiesta sulla scomparsa del caciocavallo calabrese, il nemico in realtà lo abbiamo in casa già da un po’), ecco che le strade di
Slow Food e Slow Medicine tornano ad incrociarsi. Lottiamo insieme – spiega - ognuno contro il concretizzarsi di un rischio, che per Slow Food è quello per cui potrebbero compromettersi l’identità e la biodiversità del prodotto, mentre per Slow Medicine è la salute stessa, nella misura in cui si va ad introdurre nell’organismo una sostanza artificiale con effetti potenzialmente micidiali.
Cooperazione e approccio integrato: queste le parole chiave di un modo di fare medicina che punta tutto sulla consapevolezza. E sul far diventare tutti parte attiva della propria salute, ognuno nel rispetto del suo ruolo. Perché la prevenzione è un diritto, anche e soprattutto quando coincide con la divulgazione di stili e qualità della vita. Nell’approccio integrato – ci dice – c’è una nuova attribuzione delle responsabilità dove medico ed istituzioni tornano a riassumersi le proprie responsabilità, mentre
il paziente torna finalmente ad essere paziente.
A patto, però, che l’organizzazione sanitaria si liberi delle sue gerarchie. Soprattutto in una Regione dove, a causa del vuoto normativo, pazienti, medici e persino dirigenti sanitari vengono lasciati a sé stessi. Il risultato? Medici che rischiano la sindrome di
Burnout (esaurimento emotivo, depersonalizzazione e derealizzazione personale, con una perdita di interesse verso le persone con le quali si svolge la propria attività,
ndr), cittadini infuriati e istituzioni ferme al palo. Eppure basterebbe così poco per aggirare l’ostacolo. Se lo Stato – chiosa la De Vita - investisse in prevenzione piuttosto che in farmaci e tecnologie, risparmierebbe incentivando le politiche sociali. E spendendo in benessere e qualità della vita.