di MARTINA FORCINITI La fusione c’è. Perlomeno quella d’intenti. C’è anche quel famoso pezzo di carta, formale e ben redatto, che è poi la delibera che spiana la strada all’attivazione del referendum consultivo sulla nascita del
comune unico Corigliano-Rossano. Adesso mancherebbe solo la firma vergata a pennarello dalle popolazioni. Già, perché, dopo l’attesissima approvazione da parte del consiglio comunale coriglianese dell’atto d’impulso, non siamo neanche a metà del tragitto che potrebbe condurre i cittadini sibariti alla nuova consapevolezza di poter contare sul serio. Dentro e fuori le alte mura di casa. Così, educare le menti alla bontà dell’autogestione – davvero possibile con l’unione giuridica e istituzionale delle due cittadinanze – resta in cima alla lista delle priorità. Mentre l’iter procedurale e le sue lungaggini seguono il proprio corso. «
La delibera ora è pronta per essere spedita al Presidente della Giunta regionale Oliverio – ci spiega
Enrico Iemboli, membro del
Comitato delle 100 Associazioni per la fusione di Corigliano e Rossano – e solo lui dopo averla esaminata potrà stilare un decreto per l’indizione di un referendum popolare a spese della Regione. Puntare a tenere alta la partecipazione e raggiungere la soglia non dovrebbe essere poi così difficile:
il quorum, come stabilito dal nostro statuto regionale, sarà fissato al 30% e non al 50% più uno dei votanti. E se la consultazione dovesse essere positiva, i consigli comunali saranno nuovamente chiamati a recepire l’espressione favorevole e a prenderne atto. Che poi è una formalità. Prima che scatti la fase progettuale, con associazioni di categoria, professionisti e uffici interessati chiamati a esprimere il proprio parere, ognuno nelle proprie competenze. Insieme agli amministratori, tutti gli attori sociali produrranno una sintesi, stilando un progetto della città che sarà.
Sullo sfondo, poi, i tanti e non troppo ipotetici vantaggi. Economici, in primis, con il 20% dei finanziamenti in più, per dieci anni, previsti dalla legge ordinaria; l’opportunità di assumere a tempo indeterminato tutto il personale necessario, grazie alla deroga sul
turn over, e di spendere tutto ciò che si ha in cassa; la precedenza assoluta nell’accesso ai finanziamenti regionali e nazionali. C’è di più: la possibilità di godere dell’esclusione dal Patto di stabilità interno. Quindi, benefici raddoppiati. Ma a scaldare il fronte è più l’aspetto politico prima che tecnico. Perché con il nuovo modello di governance ascrivibile nel perimetro di riforma istituzionale definito dalla Legge Delrio – continua Iemboli –
nell’ottica dell’abolizione delle Province e della nascita delle Aree Vaste, la nuova città fusa avrebbe i requisiti per diventare essa stessa un’Area Vasta. E contare, nei confronti istituzionali, alla pari delle città capoluogo». E per un territorio immiserito da strumentalizzazionie scorrazzate truffaldine, questa potrebbe essere davvero l’occasione giusta – da cogliere al balzo – per cambiare volto. In un clima di vera unità.